Intervista: LE ORE – Canta come mangi

Intervista: LE ORE – Canta come mangi

A pochi giorni dall’uscita del singolo “Oh Madonna!”, abbiamo chiacchierato con Francesco de Le Ore. Temi affrontati: amore, Sanremo e…religione!

Non chiamano i fan “fan”, ma famiglia. La cover preferita tra le tante che hanno cantato è “Grande Amore” de Il Volo (leggete sotto perchè!). Credono nel potere dell’ironia e tengono molto alla sincerità. Il loro ultimo singolo si chiama , non a caso, “Oh Madonna!”. La più spontanea delle esclamazioni.

Parliamone: com’è nata questa canzone?

“Oh Madonna!”, come mi è capitato una volta di raccontare a un amico (sono Francesco), mi si è scritta tra le mani. Avevo questa idea del “quanto sono felice quando sei felice/ quanto sono triste quando sei felice senza di me” e ho subito capito che l’unico modo per scriverla sarebbe stato non pensare e lasciare andare la penna sul foglio.  Così sono nate le strofe, come una lunga dichiarazione di affetto, se vogliamo amore, nei confronti di una o più persone, demolendo alcune frasi fatte e nobilitando alcuni stupidi tormenti quotidiani legati alle piccole insicurezze e ansie che stanno dentro ogni tipo di rapporto. L’esclamazione “Oh Madonna!” è nata sulla scia di questa sincerità, ho pensato: “Come lo esclamerei in realtà?” ed effettivamente dico spesso “Oh Madonna!”. Quindi l’ho scritto proprio così.

Le ore - oh madonna! cover

La cover del singolo “Oh Madonna!” de Le Ore

“Oh Madonna!” è una canzone d’amore a 360 gradi. Domanda banale ma mai fuori moda: cos’è per voi l’amore?

Se sapessimo cos’è l’amore non ne parleremmo nelle canzoni. Le canzoni d’amore in generale sono tutte teorie sull’amore, basate su fatti vissuti da chi le scrive o visti vivere ad altri. Possono essere teorie più o meno sincere, ma sempre teorie restano. Col tempo abbiamo capito una cosa: non è detto che il cuore che batte sia amore, potrebbe essere ansia, e giù a scrivere una canzone sull’ansia e sull’amore.

Secondo voi si riesce davvero ad essere felici per una persona con cui abbiamo chiuso una storia? Si riescono a lasciare dietro tutte i risentimenti che a volte sono duri a morire?

Secondo noi sì, a patto che il sentimento all’inizio del rapporto fosse sincero e basato sull’affetto. Col tempo, dopo che i risentimenti hanno perso la forza iniziale, si torna più facilmente a intravedere quello che c’era prima, e diventa possibile mandare un pensiero all’altra persona finalmente sorridendo.

Siamo in pieno Sanremo, cosa ricordate della vostra esperienza del 2018? Ci riproverete?

Non ce l’aspettavamo ed è successo, perciò chi siamo noi per escludere che in futuro possa succedere di nuovo? In questo momento non ci pensiamo però, ci sentiamo molto focalizzati sulla musica, sul suono e sull’onestà che vogliamo che passi dai nostri testi, e siamo sicuri che molta consapevolezza sia arrivata anche grazie a Sanremo Giovani. Siamo cresciuti di due anni in dieci giorni, lo diciamo sempre e lo sentiamo davvero. Ci siamo trovati in un turbinio di correnti, pareri, consigli, dubbi e influenze. Questo ci ha portato non a perdere la bussola, bensì ad ascoltare ancora più a fondo cosa avessimo da dire noi da dentro, rispetto a che cosa volessimo prendere da fuori. È stata la prima volta in TV, quindi la prima volta con le telecamere, la prima volta – sembra stupido – con gli ear monitor, la prima volta nel tempio della musica italiana, per di più con Pippo Baudo che ci ha presentati. Certe sensazioni non le dimenticheremo mai, anche perché io e Matteo, ma soprattutto io, siamo patiti di Sanremo da quando siamo nati.

Avete seguito le selezioni dei Giovani di quest’anno?  Avete un preferito?

Abbiamo seguito molto poco, durante il periodo delle selezioni siamo stati Milano a buttare giù cose e scrivere nuova musica (non soltanto per noi). Però abbiamo ascoltato i brani dei finalisti, ci sembrano tutte cose diverse tra loro e ciò è un bene. A livello emotivo siamo stati colpiti da Matteo Faustini.

La vostra carriera è iniziata con le cover. Quando avete sentito il bisogno di dire cose vostre?

Il nostro percorso è stato molto particolare. Le prime canzoni (mai uscite) sono nate nel periodo in cui non avevamo ancora pubblicato nemmeno una cover. Queste ultime le abbiamo utilizzate come palestra, le abbiamo sfruttate, stravolte, a volte anche troppo, ma grazie a loro abbiamo creato un nostro marchio. Non vedevamo l’ora di suonare roba nostra, ma volevamo farlo nel momento giusto, perciò abbiamo aspettato che il produttore fosse quello perfetto per noi e che l’agenzia al nostro fianco stimasse al 100% il nostro lavoro. Quando abbiamo sentito le persone cantare la nostra prima canzone abbiamo capito quale fosse lo scopo di questo lavoro, che onestamente non puoi capire davvero finché non pubblichi un brano scritto da te.

Qual è la cover che avete amato di più eseguire e perché?

Farà sorridere, ma è “Grande Amore” de Il Volo. Sui social pubblicavamo video divertenti e d’intrattenimento, in quello di “Grande Amore” (il nostro primo video cover in assoluto) eravamo in bagno a suonare, uno sul water e l’altro sul bidet: il titolo del video infatti era “L’effetto dei vincitori di Sanremo su di noi”. La melodia cambiata, così come l’armonia, ha reso quel pezzo completamente nuovo: ha superato in poco tempo le 80’000 views su YouTube, e ad ogni concerto veniva cantata in coro nella nostra versione. È stato il primo passo nella musica fatta sui social, il primo passo su un palco come LE ORE e la prima canzone che chi ci segue poteva cantare con noi.  Magari un giorno renderemo il video di nuovo pubblico su YouTube 😉

Non trattate temi banali, eppure c’è sempre un’aria scanzonata e ironica nei vostri pezzi, che ci riporta alla quotidianità dei gesti, ad oggetti comuni – la felpa – o ad espressioni spontanee – “oh Madonna!”.  Penso anche al testo di “Radio Maria” (“Il suicidio fa male, l’ha detto Radio Maria”). Quanto conta l’autoironia, sia nella vita che nel vostro lavoro?

Siamo molto contenti di questa domanda perché per noi è un punto fondamentale. Siamo dell’idea che si debba parlare come si mangia e scrivere come si parla, quindi per la proprietà transitiva si dovrebbe anche scrivere come si mangia. Nell’arco di una vita (o di una giornata) non può non scapparci una frase dolce, un insulto, una botta di culo o una cosa triste che vorremmo cancellare. Quando ci troviamo davanti a un brano, vogliamo affrontarlo con la spontaneità della vita reale, quindi Matteo si lascia andare ad arrangiamenti liberi e personali, io invece mi piazzo di fronte al foglio bianco e uso quasi tutto il tempo a destrutturarmi, a togliere tutti i filtri che trasformerebbero le mie emozioni in un linguaggio più standard. Per me l’ironia è fondamentale e sono felice passi anche nei testi che scrivo.

Sulla vostra pagina IG accompagnate spesso le foto a lunghissimi messaggi in cui raccontate di voi e di quello che vi succede. Che rapporto avete con i fan e con i followers?

Non ci piace troppo chiamarli cosi, perché li abbiamo sempre considerati parte della famiglia. E la famiglia è diventata affiatata – forse – anche grazie alla sincerità che abbiamo sempre avuto, all’attenzione per alcune tematiche a nostro parere fondamentali e ai racconti più personali. Questo approccio farà automaticamente allontanare il pubblico più frivolo e distratto, ma creerà un legame molto forte con chi, in un post o un video, apprende un po’ di più sul nostro conto e si scopre affine a noi più di quanto potesse immaginare. Abbiamo sempre organizzato eventi e incontri: oggi siamo così anche grazie a chi c’era a quegli eventi e in questi anni non ci ha mai fatto sentire la propria mancanza.

Una curiosità Francesco, tu indossi spesso un Tao. Sei religioso?

Non tantissimo, mi capita di pregare, confrontarmi con me stesso o col cielo, ma ci sono troppi “perché” o interrogativi che mi pongo sul ruolo della Chiesa. Mi piace credere esista un qualcosa sopra le nostre teste, metaforicamente parlando: chiamiamolo Dio, Buddha, natura, Michael Jackson, purché ci faccia essere persone migliori, al di là di quante volte all’anno andiamo in chiesa. Il Tao me l’hanno regalato da piccolo, o forse l’ho comprato ad Assisi, è semplice ed essenziale come la filosofia francescana, e poi mi chiamo Francesco.

Cosa vi aspettate da questo 2020?

La banalità che è in noi affiora in questo momento e grida a gran voce “Musica! Musica!! Canzoni, concerti, sorrisi e canzoni!”

 

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