Intervista: EDODACAPO – Volersi bene non basta

Intervista: EDODACAPO – Volersi bene non basta

In un periodo in cui abbiamo finto tutti di volerci più bene, Edodacapo ha le idee ben chiare: dire “ti voglio bene” senza dimostrarlo, non vale. Bisogna trovare il coraggio di andare oltre le parole e regalare piccoli gesti ed attenzioni, come canta in “Tutti i musei che non abbiamo visto”.

Ha voglia di guardare avanti, Edodacapo. Di operare delle piccole, grandi rivoluzioni. A partire da quel “da capo” nel suo nome, che rappresenta un ultimo, definitivo nuovo inizio, come ci racconta. “Vuole essere un distacco completo col passato, non solo musicalmente, ma proprio come persona”, ci racconta il cantautore “Voglio lasciarlo indietro, non pensare al futuro e godermi il presente. Questo è quello che dico”

E ci riuscirai?

“Nella pratica sono una persona estremamente ansiosa e nostalgica. Diciamo che c’è l’intenzione di andare avanti. Ora però bisogna anche dimostrarlo”

“Tutti i Musei che Non Abbiamo Visto” è il tuo nuovo singolo. Ci dici di cosa parla e com’è venuta fuori?
 
Ero a letto con la chitarra, ho suonato tre accordi, SOL, RE, LA, e le parole son venute fuori da sole. Poi in fase di produzione la musica è cambiata, gli accordi sono aumentati, la struttura è diventata un po’ più complessa. Ma tutto sommato è un brano semplice, che io definisco “delicato”. Ci tengo molto. Parla di quanto abbiamo bisogno di piccole dimostrazioni per evitare che le nostre insicurezze crescano. Dire di volere bene forse a volte non basta, c’è bisogno di qualcosa in più. In quel periodo pensavo solo a quello: pensavo a tutte le persone che mi avevano riempito di belle parole, e che poi mi hanno fatto stare male, mi hanno ferito. Il brano dunque nasce dalla domanda: come fai a dire di volermi bene, se mi fai stare male? Da qui deriva la frase della canzone “E mi facevi stare male, anche se mi volevi bene”. Qui si nasconde il significato del brano.
 
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Cover del singolo di Edodacapo, “Tutti i musei che non abbiamo visto”

 
E’ un singolo che parla di quello che una relazione ci ha lasciato, anche in termini di oggetti fisici, ricordi, oggetti. Tu sei una persona legata alle cose materiali o ti sbarazzi facilmente delle cose? Sei più simile a Marie Kondo o ad un accumulatore seriale?
Purtroppo sono molto legato alle cose materiali. Se vedo un oggetto che ha un determinato significato, non riesco a vederlo con occhi lucidi. In generale sono un accumulatore seriale, però se vedo una cosa che mi fa male, tendo a nasconderlo.
 
E nella musica? Meglio “less is more” o aggiungere, stratificare, complicare?
 
Io sono per il ‘less is more’. Però se per complicare intendiamo sperimentare, beh, forse ci vorrebbe anche qualche complicazione in più.
 
Te lo ricordi il primo ricordo del tuo primo amore? 
 
Ad esser sincero non ricordo l’oggetto in particolare. Avevo 19 anni, quindi si parla di circa 6 anni fa. Mi ricordo di lei e infatti siamo anche amici. Però, chiedo scusa, l’oggetto in particolare no, non lo ricordo. Poi, cambiando mille case, molte cose sono rimaste a Taranto, la mia città natale, quindi è anche un po’ che non le vedo.
 
Secondo te bisogna dirselo spesso, che ci si vuole bene? O più che le parole contano i fatti, i gesti, le attenzioni? Insomma, tu sei uno che TI AMO lo dice tranquillamente o fai parlare i tuoi gesti?
 
Ti amo lo dico tranquillamente, perché per me l’amore ha un significato diverso. Per me l’amore è l’adrenalina dei primi mesi, non il sentimento che viene dopo un anno. Dopo un anno provi affetto, hai una routine. Direi che è un’abitudine, più che amore.
Per me contano i fatti. Se dimostri, puoi anche non dire niente. Se invece dici, ma non dimostri, allora perdi la fiducia.
 
C’è un oggetto, un portafortuna, un talismano, qualcosa da cui non riesci a separarti?
 
C’è: sembrerà strano ma ho con me un pupazzetto, Gatto Silvestro, trovato in un uovo di cioccolato a Pasqua quando avevo 7 o 8 anni. Ero in ospedale per broncopolmonite e mia zia mi fece questo regalo, dentro c’era quel gatto da cui non mi sono più separato.
 
La copertina del singolo è una cameretta. Nella tua stanza di adolescente cosa c’era?
 
C’erano i poster di Vasco Rossi e questa cosa mi fa molto ridere onestamente. Poi c’erano chitarre ovunque e un disordine inimmaginabile. A parte i poster, chitarre e disordine sono ancora parte della mia quotidianità.
 
Tutti i musei che non abbiamo visto, i concerti a cui non siamo andati, le persone che non abbiamo conosciuto, i viaggi che non abbiamo fatto. In una parola, troppe occasioni perse nell’ultimo anno. Come lo hai vissuto? Cosa ti manca di più? O perchè no, cosa non ti manca affatto?
 
In questi ultimi 6 anni ho cambiato tre volte paese, 5 case ed altrettante città. Devo dire che quest’anno di stop forse mi serviva a mettere dei punti nella mia vita. Non sono un pessimista né aspetto “la mano dal cielo”. Il Covid non può fermare la mia voglia di fare o di mettermi in gioco. Ho lavorato per mantenermi ed investire, sto scrivendo la tesi di magistrale, ho un progetto musicale in corso. Non mi manca nulla della vita di prima. Ho detto basta alla nostalgia. Dobbiamo trovare dei metodi alternativi di investimento, modelli alternativi di vita. Le pandemie non durano un anno, ma questo già si sapeva, e io ne ero consapevole. Dunque, io non aspetto. Io mi adeguo.
 
Adesso un concerto in un locale sembra pura utopia, ma tu hai iniziato riempiendo la strada della tua musica. Cosa ti piaceva di più dell’essere un busker?
 
La mia esperienza da busker mi ha portato due emozioni contrapposte: ansia e appagamento. Ansia, perché lo facevo sì per passione e voglia di mettermi in gioco, ma soprattutto per sopravvivenza. Ho praticamente vissuto per più di un mese solo di quello. Insomma, o suonavo o non mangiavo.
Ma anche appagamento. Credo che nessun live mi abbia mai dato la stessa emozione della strada. Sei portato a fare sempre di più e sempre meglio per cercare di catturare, in pochissimi secondi, l’attenzione di un passante. La gente va, corre e cambia sempre. Hai solo pochi secondi per convincerla. Quando dunque vedevo gente intorno, o che la musica effettivamente funzionava, mi sentivo appagato.
 
Andiamo un po’ più avanti, tipo che ne so, al 2023. Come ti vedi? Sia come persona, che come musicista.
 
Realizzato. Ho imposto a me stesso un minimo di ottimismo, perché in generale non lo sono. Infatti mentre scrivo questa risposta non sono onesto. Però, scrivendo questo mi sto imponendo di guardare il futuro con occhi speranzosi. Quindi, nel 2023, spero di aver realizzato gli obiettivi prefissati, uno tra questi potrebbe essere la musica, un altro un dottorato di ricerca. Vedremo.

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