Recensione: LUCHÈ – “Il mio lato peggiore”

Luchè è una figura divisiva, e non da ieri. Troppo elegante per essere davvero sporco, troppo tagliente per farsi ingabbiare nel cliché del lover-boy napoletano. Da sempre sospeso tra culto e haters, tra rispetto e disprezzo, tra odio e amore. 

Con “Il mio lato peggiore” Luca Imprudente si toglie la maschera, o forse se ne mette una più fedele al suo specchio. Il titolo, più che un claim, è un disclaimer: questo disco è un trip nell’ego, un tour guidato nei quartieri scuri dell’anima, della sua anima – ma con gli interni in pelle beige e il cambio automatico.

Sono nato buono ma sono diventato un mostro
Sono il meglio dei due mondi, sono tutto tranne fake
Ho lo spessore di Kendrick e sono odiato come Drake”

Luchè non cerca più approvazione. Non vuole essere salvato. Gioca, ostenta. Rincara. Flexa. E lo fa con una consapevolezza: ogni barra è una posa da copertina, ogni base un’ambientazione cinematografica ma al tempo stesso è anche un bilancio della sua vita tra fantasmi, incubi, paure, rischi, violenza e debolezza. 

Il sound è lussuoso, rifinito, internazionale come da manuale Luchè: synth liquidi, beat trap ma con la pelle lucida dell’R’n’B di pregio, quello che flirta con il mainstream senza mai diventare plastica.

Il disco è curato in ogni dettaglio, nella produzione (la lista dei producer ha nomi come Night Skinny, Voga, Zef e tanti altri) come nelle collaborazioni. Il cast è all-star, una parata di firme che certificano lo status: Marracash, Sfera Ebbasta, Rose Villain, Giorgia, Nerissima Serpe. Ma anche Kaash Paige, che porta un respiro US vero, non da cartolina. Nessuna featuring è lì per caso: tutto è coreografato con l’occhio di chi sa che oggi il rap è anche management dell’immagine.

Luchè continua a essere uno dei più stilosi della classe. Il suo flow è sempre glossy, disciplinato, fluido: anche quando scivola su testi a tratti prevedibili, mantiene una postura estetica che lo distingue. Non urla, non sbraita, ma sussurra e graffia. Ha interiorizzato il lesson plan di Drake, Kanye e Kendrick, e ne restituisce una versione custom made per l’Italia.

Ma è proprio qui che sorge la crepa. Dopo quasi un’ora di musica impeccabile, si insinua una sensazione sottile di déjà vu. C’è talento, c’è mestiere, ma manca ancora una voce. La sua. Perché anche il lato peggiore, se costruito troppo bene, rischia di diventare una fiction. Una copia deluxe dell’originale d’oltreoceano.

È il paradosso del rap italiano di oggi: più suona globale, più diventa impersonale. Eppure, anche in questo limbo tra velleità, gioco e ispirazioni, Luchè resta uno dei pochi capaci di tenere alto il livello e il gusto. Forse non ci ha ancora fatto vedere davvero il suo lato peggiore. Ma intanto, il meglio è ancora lì — a portata di cuffia.

DA ASCOLTARE SUBITO