La terza edizione della ricerca “Women in Music” di SAE Institute Milano

La terza edizione della ricerca “Women in Music” di SAE Institute Milano

Vede la luce la terza edizione di “Women in Music”, il progetto di ricerca portato avanti da SAE Institute Milano, che da tre anni si fa teatro del dibattito intorno alla rappresentazione di genere nell’industria musicale.

La ricerca, contenuta in un’opera collettanea dedicata alla musica e non solo, dal titolo “POCHE” ed edita da Write Up Books, ospita contributi rivolti all’industria creativa nel suo complesso, audiovisivo e gaming inclusi.

Questo libro è un tentativo di fotografare lo stato dell’arte e vuole diventare un punto di incontro tra industria e accademia: oggi i risultati ci dimostrano che l’attenzione intorno a queste tematiche c’è ed è sempre più vigorosa, che esiste in effetti una questione di genere, seppur la strada da percorrere sia lunga e dissestata, tanto che qualcuno ha parlato addirittura di un secolo prima di poter vedere un cambiamento concreto – commenta Alessandra Micalizzi (nella foto), psicologa e docente, che ha curato il progetto dal principio –

Dal canto nostro evidenziamo alcuni aspetti qualitativi, come il fastidio che questo dibattito suscita o l’istinto di tirarsi indietro e mettersi sulla difensiva. Tutti temi che non fanno che sottolineare l’urgenza di questo confronto, di sedersi a un tavolo e discutere, dando voce alle reti di rappresentanza e a quel dinamismo culturale che, per fortuna, si sta radicando sempre più nel sottosuolo”.

Un aspetto a cui la ricerca ha dato particolare rilievo, sia per l’entità del fenomeno, sia per il suo impatto nell’immaginario collettivo, riguarda l’autorappresentazione delle artiste italiane e il riflesso di tali pratiche nella costruzione di un modello di genere nel pubblico, specie nei più giovani, in una delle platee più potenti di oggi, Instagram. Questa piattaforma, infatti, fa dell’autorappresentazione il suo contenuto principale, contribuendo, secondo alcuni esperti citati dallo studio, alla creazione di una performatività gendered. Il focus su questo punto diventa ancora più calzante se lo si inserisce nel più ampio dibattito sull’artista-prodotto, che oggi non può più essere inteso soltanto come performer ma va pensato nel suo complesso, come personaggio, musica e testo, arrangiamenti, comunicazione, posizionamento nel mercato e presenza sul palcoscenico.

I RISULTATI

I risultati di questa parte hanno l’obiettivo di comprendere due processi: da un lato l’iter di autorappresentazione sui media e dall’altro gli effetti di questa costruzione nell’audience. L’analisi include lo studio di immagini pubblicate sui profili di dieci artiste, per un totale di quasi mille foto, nel periodo compreso tra marzo e ottobre 2022. Tre sono stati i driver principali: il corpo, suddiviso in scoperto o coperto; la postura, spontanea o artificiale; e il contesto, ovvero lo spazio che fa da cornice all’immagine e che può essere performativo o informale. Le artiste coinvolte sono: Elettra Lamborghini, Emma, Alessandra Amoroso, Elodie, Annalisa, Francesca Michielin, Madame, Levante, Gaia e Victoria dei Måneskin, ordinate in maniera decrescente per numero di follower.

LA RICERCA

La ricerca, tuttora in corso, prevede un secondo momento di interviste con foto-stimolo a giovani di età compresa tra 18 e 25 anni in base al genere in cui si ritrovano, da cui sono emerse alcune considerazioni comuni. Il corpo assume un ruolo centrale nell’inquadratura, con posture ricercate, quindi costruite, e o-scene, ovvero private della scena e incoerenti con il resto del post (ad esempio con la didascalia). Inoltre, quasi in tutti i casi il corpo assume posizioni erotiche, con riferimenti volutamente provocatori o mirati a “restituire una retorica della trasgressione consolidata”, oppure con l’intenzione di ottenere un riscontro dall’utente (like, commento, ricondivisione).

LE DOMANDE

Per quanto riguarda invece le domande agli intervistati, sono necessarie alcune premesse. Innanzitutto, al campione sono state sottoposte foto decontestualizzate e senza volto, così che non potesse essere influenzato dal sapere di chi si stesse parlando. Inoltre, in ambito musicale, il panorama internazionale rimane il punto di riferimento, tanto che la maggioranza dichiara di non ascoltare autrici italiane se non per caso. Ne risulta quindi una scarsa conoscenza del repertorio, affiancata però a una conoscenza dei personaggi in relazione alla loro esistenza al di fuori del contesto prettamente musicale.

Stupisce, a proposito, che le artiste nazionali siano quasi considerate pudiche rispetto alle colleghe oltre confine, sia per i ragazzi che per le ragazze, che concordano anche nel pensare che l’essere un personaggio pubblico renda meno controversa la decisione di esporre il proprio corpo. Tuttavia, nel campione maschile prevale la convinzione che si tratti di una scelta strategica e commerciale, mentre per le ragazze sussiste una possibilità espressiva che è solo appannaggio delle artiste.

In estrema sintesi, il giudizio espresso da ambo le parti è positivo e considera gli scatti estetici non tanto espressione di una “spregiudicatezza” ma più che altro una dimostrazione della piena consapevolezza di sé. Con l’età, poi, aumenta la distanza tra quei profili e quelli delle intervistate più adulte, che dichiarano di non condividere immagini simili, nonostante tutte concordino nel comprenderne le intenzioni: rendere noto un momento di affinità e armonia con il proprio corpo. Gli intervistati uomini, invece, hanno evidenziato la libertà di ognuno di esprimersi come crede, purché ci si assuma la responsabilità delle conseguenze, e la rivelazione del volto non faceva che supportare la loro tesi della strategia di posizionamento e vendita. In secondo luogo, chi ha risposto tra gli uomini ha prevalentemente cercato di razionalizzare il tema del gender gap, considerato sì un problema sociale ma di cui loro non si sentono responsabili. Infine, si evince una piena interiorizzazione dei valori connessi al patriarcato, che sembrano attivarsi in automatico.

Questo studio aveva l’ambizioso obiettivo di comprendere se stesse avvenendo una presa di distanza dallo stereotipo di cantante-vetrina, sia da parte delle artiste che dal pubblico. Possiamo affermare che le artiste non si sottraggono alle dinamiche dei social, dove l’immagine regna sovrana, ma quello che sembra distinguersi dal passato sono le intenzioni di auto-affermazione del sé.

Si nota un vero cambiamento da parte degli utenti, che guardano a questi scatti come a un messaggio di emancipazione, con ammirazione, anche per il senso di accettazione di sé che trasmettono. Sembrano un po’ più indietro gli uomini, che riconoscono sì la libertà di espressione ma leggono l’esposizione del corpo come una mossa strategica, soprattutto se scoperto, che lascia trasparire una certa insicurezza. Qualcuno ha anche definito questa esposizione come una mercificazione del corpo, pur sempre con una buona dose di timore di essere giudicati per le loro posizioni – conclude Micalizzi – Ciò che ci premeva stressare è l’importanza della diversità nella rappresentazione, per favorire l’identificazione di ciascuna nei tanti modi possibili, superando i rigidi standard e l’obsoleta dicotomia suora-sgualdrina”.

Videogaming e audiovisivo, a che punto siamo?

Il fil rouge che lega i contributi del libro, tra industria musicale, audiovisiva e gaming, è l’aggettivo poche. Poche, infatti, sono le donne rappresentate in un settore spesso influenzato e co-costruito dai media. In questo scenario nascono però realtà impegnate nel portare un cambiamento: Equaly, per la musica, Women in Games, per il videogioco, e Amleta per le arti performative. L’intera compagine di autrici, infine, si trova d’accordo con quanto riportato dal Ministero della Cultura [Fonte: (Ministero della Cultura, 2002, p. 57)] – sussiste una condizione di squilibrio generalizzata in diversi settori (…) che fa emergere un dato incontrovertibile e trasversale a tutti gli ambiti: la disparità di potere tra uomini e donne nella cultura italiana, pur con differenze e specificità per ogni ambito – e sull’urgenza di scalfire queste discrepanze e demolire ogni pregiudizio di sorta.

PUBBLICAZIONE 

La pubblicazione è stata curata dalla docente e psicologa Alessandra Micalizzi e alla presentazione a Milano hanno partecipato anche Alice Salvalai (Equaly), Francesca Dragotto (Università Torvergata), Rosy Nardone (Università di Bologna) e Claudia Molinari (SAE Institute/Women e We are Muesli), Gloria Dagnino (Università di Udine), Asia Nicoli, Chiara Nicolazzo, Giulia Franceschini, Marta Agnieszka Pabich e Caterina Marino.

Qui il link alla pubblicazione open source “POCHE. La questione di genere nell’industria culturale italiana”.

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