“La dolce attesa” PAOLO SORRENTINO al Salone del Mobile 2025 con la musica di MAX CASACCI

Al Salone del Mobile.Milano “La dolce attesa” di Paolo Sorrentino si impone come esperienza sensoriale.
Un’installazione, certo, ma anche un racconto sul tempo, sulla sospensione e sull’umanissimo bisogno di rallentare.
La colonna sonora
A tessere la dimensione sonora di questo viaggio, Max Casacci: fondatore dei Subsonica, producer, architetto del suono.
Casacci non compone in senso tradizionale. Il suo contributo non si sovrappone alle immagini, ma le abita. È una musica senza strumenti – battiti, fruscii, voci d’acqua, sussurri organici – che costruisce un paesaggio invisibile eppure concreto. Come il silenzio che precede una notizia importante, il suono qui si carica di una tensione quasi sacra. Non c’è ritmo riconoscibile, non c’è melodia, ma un respiro profondo che attraversa lo spazio e lo modella.
Il suono come tempo interiore
Nel progetto ideato con Sorrentino e la scenografa Margherita Palli, Casacci lavora per immersione. Il suono non è accompagnamento, è sostanza. Le frequenze si fondono con i materiali, con le luci smorzate, con le geometrie sospese. Il visitatore non cammina: galleggia in un tempo dilatato, scandito da vibrazioni più che da secondi. Un tempo emotivo, percettivo, che si muove in controtendenza rispetto al battito frenetico della contemporaneità.
Una partitura in punta di piedi
La dolce attesa non racconta, ma suggerisce. E la musica di Casacci fa lo stesso: evita le scorciatoie emotive, le enfasi cinematografiche, per restare in equilibrio sul bordo del non detto. È una composizione che consola senza addormentare, che inquieta senza spaventare. Come il tempo dell’attesa: uno spazio vuoto solo in apparenza, che può trasformarsi in apertura, metamorfosi, svelamento.
Oltre il design: un manifesto sonoro
Nel contesto iperfunzionale del Salone, dove ogni progetto tende a rispondere a un’esigenza, La dolce attesa pone una domanda. E lo fa anche attraverso il suono: cosa resta quando non c’è nulla da fare se non aspettare? La risposta non è scritta, ma risuona sottopelle, nei bassi che avvolgono, nelle pause cariche di senso, nelle vibrazioni che accompagnano il corpo e lo spirito.