Intervista – MARLENE KUNTZ: “Karma Clima” è un disco poetico ed empatico

Intervista – MARLENE KUNTZ: “Karma Clima” è un disco poetico ed empatico

“Karma Clima” non è solo il nuovo disco dei Marlene Kuntz ma è molto di più: una visione, un progetto itinerante, un concept sostenibile e futuribile!

Un obiettivo chiaro e preciso quello della band, ovvero quello della ricerca di quelle realtà che sono un modello in materia di eco sostenibilità e in nome del dovere etico di creare un senso di responsabilità verso il mondo che abitiamo.

9 tracce, prodotte dai Marlene Kuntz con Taketo Gohara, nate da tre residenze artistiche che hanno portato la formazione a contatto con tante realtà italiane che si stanno impegnando per la sostenibilità ambientale: Viso a Viso Cooperativa di Comunità di Ostana, Birrificio Agricolo Baladin Piozzo e Borgata Paraloup, che hanno ospitato le residenze artistiche della band, ma anche la Fondazione Horcynus Horca di Messina, che li ha premiati per i 30 anni di carriera, e il MUSE di Trento e la Mole Antonelliana di Torino (in occasione del Festival CinemAmbiente), luoghi di cultura che si sono prestati ad ospitare happening di sensibilizzazione sul cambiamento climatico. 

Abbiamo parlato con Cristiano Godano e Luca “Lagash” Saporiti e ci siamo immersi nel progetto Karma Clima che ha ancora un lungo percorso davanti.

IL PENSIERO 

Mi sembra che l’umanità vada in una direzione assurda dove solo chi ha i soldi avrà il potere di salvarsi.
Ho delle visioni distopiche del futuro che però sono abbastanza concrete e consapevoli. 

Proprio per questo abbiamo cercato di creare una narrazione necessaria per sensibilizzare la gente su queste tematiche.
Siamo consapevoli che la scienza abbia dei problemi di comunicazione e siamo altrettanto consapevoli che abbia bisogno di narratori che facciano capire l’importanza dei temi. 

Ci dobbiamo svegliare e presto sui temi ambientali. Non possiamo più aspettare. È un problema che ci riguarda già adesso e non riguarderà solo le prossime generazioni! 

Faccio veramente fatica a capire come sia possibile che non ci si accorga della gravità della situazione. 
Purtroppo, non si torna indietro. Bisogna solo cercare di arginare.

La gente deve arrivare ad essere consapevole del cambiamento. Solo attraverso la consapevolezza ci potrà essere un cambiamento,
Ho anche fiducia dei giovani nativi digitali che magari troveranno delle soluzioni per salvarci. 

Noi cosa possiamo fare nel nostro piccolo?
Sappiamo fare musica e pertanto abbiamo fatto un disco come questo di sostanziale poesia che faccia riflettere. 
Se anche riusciamo a sensibilizzare solo qualcuno con il nostro disco saremo contenti e avremmo raggiunto il nostro obiettivo. 

LA GENESI 

Sicuramente il concept del disco ha influenzato le canzoni soprattutto nei testi.
Le musiche arrivano, nel nostro schema di lavoro, sempre prima dei testi. 
Io (Cristiano Godano) ho iniziato a pensare ai testi in funzioni delle tematiche legate a clima e sostenibilità. 

Abbiamo voluto rompere gli schemi e siamo partiti a scrivere dal pianoforte e non dalle chitarre. 
Ci siamo chiusi in tre residenze e abbiamo portato degli strumenti reali. 

Il progetto è nato da li.
Ci sono state tantissime interazioni fruttuose in questo periodo. Mi ricordo quella con il pastore che ogni mattina incontravo dove andavo a scrivere davanti al Monviso. Parlando con lui non dico che mi abbia regalato delle frasi importanti ma sicuramente delle suggestioni che poi si sono concretizzate nei testi

Abbiamo intravisto dei modelli alternativi di vita e dei percorsi che potrebbero funzionare ed oggi, in questa situazione d’emergenza, portano fuori tutta la loro potenza. 

Questo disco è poetico ed empatico e non guarda al proprio ombelico. Cerca ad aprirsi. 

COME FARE MUSICA DAL VIVO IN MODO SOSTENIBILE

Da tutto questo laboratorio di idee sono scaturite tutte una serie di conseguenze ed è probabilmente tutta l’importanza del progetto. 
È evidente che sia impossibile mettere in piedi delle situazioni totalmente sostenibili con zero impatto ambientale.
Ma bisogna iniziare a fare dei piccoli passi. 
Abbiamo iniziato a intraprendere delle azioni che non sono il tutto ma almeno l’inizio di un processo. 

IL TOUR 

L’obiettivo è quello di portare a suonare questo disco nei teatri. 
Il tour che partirà nei prossimi giorni sarà nei club, qualcosa di preliminare rispetto al tour nei teatri. 

Adesso suoneremo in modo più tradizionale e rock con solo qualche canzone del nuovo disco. 
È normale che il disco deve essere assimilato e ci vorrà qualche mese per poi poterlo suonare nelle scalette dei prossimi live. 

Il tour teatrale invece partirà a febbraio e avrà una nuova dimensione dei suoni portando gli strumenti che sono presenti nell’album. 

IL DISCO TRACCIA PER TRACCIA

La fuga

il pezzo forse più vicino all’idea che ci si può esser fatti dei Marlene Kuntz sino a ora, poiché si tratta di una decisa progressione rock che rende la musica un crescendo che accompagna la disaffezione dell’io narrante nei confronti delle dinamiche dell’umanità per come sono di questi tempi. Si parte da una constatazione amara sul predominio dei social sulle nostre vite (minuti mezz’ore e ore passate a scrollare per le nostre perdite di tempo e di energie e il loro guadagno di billionaire), per arrivare a lasciarsi catturare dalle tentazioni di estraniazione offerte dalle alture dei monti in cui mi trovavo nel momento in cui concepivo il testo, perso “fra i soffi e i sibili” del vento, sganciato dalle contingenze del mondo e sempre più desideroso di fuggire, e forse svanire, dal contesto sociale.

E’ un anelito in forma di visione, a tratti reale a tratti irreale. E’ stato il nostro primo singolo.

Tutto tace

in netta contrapposizione con la dimensione spaziale del cielo sempre più vicino e delle linee frastagliate dei monti a delineare l’orizzonte, in questo pezzo il desiderio di fuga e estraniazione viene inseguito attraverso un viaggio surreale negli anfratti della terra. Poco per volta il vociare del mondo si allontana, e la “caduta” all’ingiù si fa dato di fatto voluto e messo in atto. Il deragliamento si concretizza come ipotesi metafisica, perché in superficie resta l’io narrante nelle fattezze della sua maschera e l’io introspettivo si inabissa poco per volta andando a cercare un ristoro in un luogo inaccessibile, quasi come in un letargo sconfinato.

Tutto ciò parrebbe non riuscire ad annichilire il pensiero ossessivo della brutta fine a cui sta andando incontro l’umanità, fino a che la discesa non conduce il protagonista in un luogo davvero inaccessibile e impermeabile a tutto, anche alle voci e ai pensieri della coscienza provenienti dal mondo là fuori e dalla sua maschera, rimasta in superficie. E tutto finalmente tace.

Lacrima

e’ una canzone dal suono probabilmente sorprendente (e non sarà l’unica) per chi è abituato al sound con le chitarre dei Marlene Kuntz. Compaiono i primi sintetizzatori analogici a connotare marcatamente il suono, che si fa poco rock nella sua definizione più consueta.

Il testo è una lunga sequenza di elementi della natura e delle piccole borgate di montagna, un esplicito desiderio di nominarli per mostrare, prima di tutto a me stesso, che mi accorgo della presenza del mondo e dei suoi fantastici componenti. E’ tutto inebriante, e il salire sempre più in alto in montagna, reso completo dalla consapevolezza della bellezza notata e registrata, permette di godere appieno della forte emozione di star congiungendosi al cielo, per catturare la fertile opportunità di una suggestione quasi trascendente. Triste è la vocina nelle retrovie che ammonisce che tutto questo incanto verrà guastato dalle conseguenze del cambiamento climatico. Una lacrima scende inevitabile.

Bastasse

una coppia consapevole di ciò che sta accadendo, formidabilmente empatica e semplicemente preoccupata per sé e per i propri figli, cerca di ritrovarsi uno spazio esclusivo in cui rifugiarsi per una giornata di stacco da tutto. Un desiderio di dar vita all’amore e alla tenerezza che li lega, con la romantica, arrendevole speranza che questo semplice atto di pienezza  possa aver qualche effetto sul bene e sulle consapevolezze del mondo.

E’ una sorta di sogno coltivato dall’esplosione della dolcezza e dell’affetto così volutamente cercati, un momento di illusione emozionante che si scontra con la crudezza del reale, e il finale erompe nella sconsolatezza inevitabile. Il mondo brucia, e non è poi così tanto lontana dal vero questa affermazione. Di certo non lo sarà fra non molto.

Laica preghiera

Leggendo molto nei giorni di residenza in montagna, dove registravamo il disco, scelsi a un certo punto di acquisire qualche informazione preziosa sulla montagna in se, qualche punto di vista che potesse aiutarmi a raffinare le mie sensazioni. Mi imbattei nel racconto delle muse, che secondo il mito avevano la loro fantastica dimora sui monti (Elicona e Parnaso i due monti più ricorrenti). I monti nell’antichità non erano i luoghi del turismo o della scoperta delle vie da scalare, bensì luoghi con la loro sacralità e i loro misteri, indissolubilmente legati al timore per l’ignoto. La montagna era impervia e sostanzialmente inaccessibile.

Grazie a queste belle fantasie è nata la canzone qui descritta, che mette in scena un ipotetico dialogo fra l’io narrante e la Musa. Non si tratta in realtà di una invocazione per trarre la giusta ispirazione (questa è l’immagina ricorrente quando si pensa alle muse e al loro rapporto con il poeta), ma di una sorta di sogno in cui si può chiedere alla Muse stesse di intercedere col loro canto per arrivare agli Dei (ecco perché “laica”).

Questo sogno scaturisce dalle suggestioni legate al ritrovarsi quotidianamente sulle alture, così fertili per l’ispirazione, le visioni, la percezione di una realtà interiore più piena e completa e, soprattutto, per quella sensazione di trascendenza che per chi ha fede non può far altro che far pensare alla presenza di Dio (e chissà, forse proprio perché da qualche parte la dimora della muse, a me nascosta, faceva sentire la sua influenza sulle mie suggestioni). Elisa ci regala la sua fantastica voce da brividi per impersonificare la musa stessa, creando con me un dialogo immaginifico da favola.

Acqua e fuoco

è un pezzo molto potente dal punto di vista strumentale. La sezione ritmica la fa da padrona con un beat di incessante intensità, regalando emozioni nuove. Il testo gioca intorno al concetto di tempo mettendolo su alcuni piani di comprensione, non ignorando che il tempo in sé è filosoficamente uno dei concetti più affrontati nel corso dei secoli (e branche avanzate della fisica e della scienza ormai sostengono e dimostrano che non esiste).

Con queste consapevolezze il testo fa il suo gioco, e attraverso un po’ di giri di parole e intrecci dichiara una cosa molto semplice: che non c’è più molto tempo per porre in essere un argine alla deriva che l’umanità ha intrapreso. E se si continua a giocare, metaforicamente, col fuoco, l’acqua, fuori di metafora, prima o poi mancherà (come sta già accadendo). E’ dunque l’ennesimo grido di allarme di questo disco che dietro un approccio poetico sottende il dramma ancora troppo sottovalutato dall’indifferenza di molti. Il ritornello si rifugia nel sublime, che storicamente la filosofia ha sempre collocato come categoria estetica nei confronti con la natura nelle sue manifestazioni terrifiche, quelle che incutono il terrore nell’uomo, consapevole di quanto la natura stessa sia più potente di noi se solo lo vuole.

E se negli ultimi tempi moderni l’uomo ha avuto la sensazione di poter dominare tutto, natura compresa, ora il clima (anzi, il karma clima) sta porgendo il suo conto, che se non agiamo in tempo sarà molto salato. Cercare dunque il sublime per essere travolti dalla meraviglia, con la quale, forse, poter scomparire (altra visione surreale, altro anelito a fuggire da un mondo sempre più ostile per noi)

Scusami

E’ la canzone meno direttamente coinvolta dal concept del disco, poiché mette in scena una sensazione tipica vissuta dall’uomo: il rammarico per non aver saputo creare i migliori presupposti di pienezza amorevole e sentimentale col proprio padre. Un topos letterario, oso dire, così intenso nelle sue premesse da renderne difficile lo scansarlo sempre da parte degli uomini dotati di raffinata sensibilità.

Prima o poi tocca farci i conti. Ma c’è un interessante risvolto che permette di far stare la canzone nel contesto dell’argomento del disco, ed è il rivolgersi del figlio al padre, laddove in altri testi è il padre a rivolgersi al figlio per chiedergli scusa a nome di una intera generazione (i boomer?) che non ha saputo impedire la deriva a cui stiamo tutti assistendo. Questo ribaltamento permette di andare a ritroso nel tempo, ed è il figlio che si scusa col padre: se probabilmente il dialogo mancato ci fosse stato (ovviamente a livello universale) non si sarebbe forse avverato il peggio che saremo costretti a fronteggiare. Sono ipotesi, soltanto ipotesi permesse dal senno del poi, ma sono di puro fascino, ed è bello farle.

Vita su Marte

il tono di questa canzone è caustico, violentemente caustico. Dalla visione paradisiaca che tutti hanno vissuto almeno una volta nella vita (viaggiare con l’aereo sopra le nubi bianche illuminate dal sole), la fantasia bacata di un ipotetico ricco sfondato prende… il volo per prefigurare concretamente le ipotesi ricorrenti di un rifugio su Marte (credo sia una ipotesi al vaglio dei ricchi del pianeta, e questo lascerebbe comprendere una certa noncuranza da parte di chi ci domina – politica e soprattutto economia e finanza – immaginando rifugi avveniristici come enclavi di aria condizionata alla Dubai o l’approdo su Marte.

Da tutto ciò il grosso dell’umanità sarà ovviamente tagliato fuori). Dunque la causticità e l’ironia sono inevitabili nell’immaginare il prototipo del ricco sfondato che trova in un rimedio egoistico la sua propria ipotetica salvezza.

L’aria era l’anima

una ballata delicatissima che inscena una visione terribile di cui la scienza ci rende partecipi da tempo. Come spesso dico nelle interviste, non intravedo nessun motivo intelligente per non credere a circa il 98% degli scienziati che non sanno più come dirci che il problema è gravissimo e reale.

E fra le cose che ci dicono c’è il prevedibile innalzamento dei mari (d’altronde città come New York da alcuni anni hanno iniziato a prevedere strutture complesse e avveniristiche per fronteggiare questo fenomeno, sicché si da per scontato che accadrà). Se l’innalzamento ci sarà le città costiere subiranno una invasione irrimediabile e diventeranno spettrali presenze inservibili, e questa canzone, con un escamotage narrativo funzionale, prova a suscitare delle forti emozioni nell’immaginare il disastro che sarebbe una evenienza simile.

Ci pare una adeguata, artistica e poetica chiusura di questo disco, che non ha cazzate da dire tipo “andrà tutto bene”, ma che prova a scuotere poeticamente gli animi della gente per darsi una svegliata e non perdere ulteriore tempo.

ASCOLTA IL DISCO 

IL VIDEO 

IL TOUR 

La band, dopo aver calcato questa estate i palchi dei maggiori festival ecosostenibili italiani, da Risorgimarche a Happennino, è in tour nei club italiani.

16 ottobre al Monk di Roma in occasione della Biennale MArteLive
4 novembre al Live Club di Trezzo Sull’Adda (Milano)
5 novembre al Capitol di Pordenone
10 novembre al Teatro Politeama di Prato
11 novembre al Supermarket di Torino
13 novembre all’Estragon di Bologna
19 novembre al The Factory di Verona

Clicca per acquistare i biglietti 

WEB & SOCIAL 

www.facebook.com/MarleneKuntzOfficial
www.instagram.com/marlenekuntzofficial/

 

photo rilasciata dall’artista – crediti Michele_Piazza

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