Addison Rae torna al centro della scena con “Addison”, il suo nuovo album uscito il 6 giugno.
In un’intervista con Zane Lowe al The Zane Lowe Show su Apple Music 1 la creator diventata cantante riflette sul prezzo della celebrità, svelando il dietro le quinte del brano Fame is a Gun. Dalla collaborazione con Charli XCX alla metamorfosi artistica, Addison racconta la sua evoluzione tra luci, ombre e synth-pop.

L’INTERVISTA
Ci parli della scrittura del brano “High Fashion”
Parlando di “Diet Pepsi”, come dicevi anche tu prima, per me è stato un inizio naturale di tutto questo. Penso che fosse un’introduzione perfetta sotto tanti punti di vista. Per quanto “Diet Pepsi” sia divertente, folle e sexy, è anche facile da comprendere. Si capisce subito perché potesse essere il singolo di lancio. Credo che “High Fashion” sia stato quello che ha confuso di più le persone, e la cosa mi ha fatto davvero ridere. Ricordo che quando eravamo in studio a lavorare su “High Fashion”, il pezzo ha avuto in realtà diverse versioni, prima di arrivare a quello che è oggi. Era tipo una ballad o una specie di strano brano da musical. Cercavamo davvero di far funzionare il concept, perché lo adoravo.
Quando ci siamo arrivati, quello che è successo è che stavamo sperimentando con il concetto di “High Fashion”. Volevo tantissimo un brano che si chiamasse High Fashion, ed è da lì che è partito tutto. Poi ho finito per scrivere: “I don’t need drugs. I’d rather get high fashion.” Quando ho portato questo concept a Luka ed Elvira, come dicevo, ci abbiamo provato più volte. Niente sembrava funzionare, ma io ero così determinata a farlo funzionare solo perché amavo il titolo “High Fashion”.
Poi un giorno non ero in studio, credo fossi impegnata con altro.Luka ed Elvira erano ancora lì a lavorare su delle cose. Tove Burman, che è un’autrice incredibile, è entrata nella sessione che stavano facendo, e loro le hanno detto: “Dobbiamo trovare il modo di far funzionare questo titolo per lei. Dobbiamo rendere credibile il concept. Ha già i versi che vuole.”
Non vuole proprio lasciar perdere.
Esatto. Non volevo lasciar perdere. Dovevamo farla succedere. Il giorno dopo sono tornati in studio e mi hanno detto: “Abbiamo messo insieme una traccia che secondo noi potrebbe essere la direzione giusta per High Fashion.” Io ho detto: “Fantastico. Fatemela sentire.”
Era una versione molto diversa, ma allo stesso tempo simile a quella che è oggi, diciamo che c’erano le fondamenta.
Con quegli accordi che sembrano in tonalità minore.
Sì. Accordi strani.
Tipo le due del mattino a un rave.
Esattamente. Esattamente. L’idea era proprio di dare quella sensazione un po’ da “sballato”, quasi perso in sé stesso. Penso che accompagnasse benissimo quel verso. Quando me l’hanno fatta sentire, c’era anche una piccola… un accenno di melodia. Poi è cambiata dalla prima versione che mi hanno fatto sentire, ma il testo c’era. Io ero tipo: “Oh mio Dio, lo adoro. Dobbiamo lavorarci.” Abbiamo continuato a lavorarci quel giorno stesso. Penso che lo abbiamo finito il giorno dopo, ed è evoluto in modo davvero magico. Nella prima versione non c’era nemmeno il bridge. Era tutto molto corto e conciso. Io invece pensavo: “Non lo so, mi serve qualcosa che vada ancora più in profondità.”
Addison Rae racconta il trasferimento a Los Angeles dopo il boom su TikTok
All’inizio, soprattutto agli inizi, ho sempre saputo di voler fare musica. Ho sempre saputo di voler recitare. Credo di aver sempre saputo di voler esibirmi. Era qualcosa che per me era davvero evidente fin da quando ero bambina. Quando è arrivato TikTok, è stato quasi come se pensassi: “Beh, questo sembra un ottimo modo per arrivare a Los Angeles,” perché in Louisiana non c’erano tante opportunità, o nemmeno possibilità concrete, per intraprendere davvero quella carriera, a meno che non fossi davvero, davvero fortunata.
Il che significa probabilmente che non c’erano molte persone attorno a te con cui condividere quel sogno.
Esatto. Avevo una migliore amica, che è ancora oggi una delle mie migliori amiche in assoluto. Aveva una visione molto simile alla mia sull’arte, sull’essere un’artista, sul creare e rendere tutto ciò possibile. Era con me quando sono arrivata a Los Angeles per la prima volta. Penso che sia stato davvero importante avere almeno una persona che sentissi mi capisse profondamente, sia come persona sia come creativa, che capisse la mia passione e il mio desiderio per tutto questo.
È stata una persona su cui ho fatto molto affidamento, che mi ha continuato a ispirare e a farmi sentire che non era solo una cosa passeggera da lasciar andare.
TikTok ha cambiato la vita della tua famiglia?
Sì, l’ha cambiata. Penso che qualsiasi forma di riconoscimento o, diciamo, attenzione in quel modo cambi inevitabilmente la vita della tua famiglia.
Credo che tantissime opportunità mi siano arrivate addosso a un milione di miglia all’ora. Quando mi sono trasferita per la prima volta a Los Angeles, nei primi due mesi ho incontrato quelli che poi sono diventati i miei manager. Era la prima volta in assoluto che incontravo dei manager, ma sono ancora con loro oggi. Quindi è stato ovviamente molto positivo.
Wow, è davvero una gran fortuna.
Lo so. Quando li ho incontrati per la prima volta—loro erano lì con l’intenzione di parlarmi di social media tipo: “Fantastico, ti gestiremo sui social, diventerai un’influencer.”
Io però ho risposto: “Sì, beh, in realtà non è quello che voglio fare. Quello non è il mio obiettivo. Il mio obiettivo è creare arte e intrattenimento per le persone, qualcosa che vada oltre i social media, che non si limiti solo a vivere su una piattaforma come TikTok.” Voglio che sia ovunque. Voglio intrattenere le persone in modi diversi, non soltanto condividendo la mia vita personale, come stavo facendo allora.
Ora sei Addison. È un nome doppio fantastico, ma ora funziona anche benissimo come nome proprio. È un titolo auto-intitolato per scelta, perché in un certo senso rappresenta una rottura con il modo in cui le persone ti hanno percepita finora.
Beh, penso che per me, se sei stato introdotto a me come Addison Rae – come la maggior parte delle persone – penso che mi conoscerai sempre così. Ma per me, e per quello che fare musica sta significando per la mia anima e il mio cuore, è come tornare al nucleo di tutto.
Credo che Addison Rae sia una parte di me e lo sarà sempre. Ci sono elementi di me che ovviamente sono Addison Rae e rappresentano ciò che le persone hanno costruito come immagine di chi è Addison Rae. Per me si trattava di tornare al centro di tutto, che è semplicemente Addison.
Non so, nella mia vita nessuno mi ha mai chiamata Addison Rae. Non è mai stato così.
Parliamo della realizzazione di questo brano. “Obsessed” esce, fai quel primo passo, e la gente cerca di capire cosa significhi per Addison Rae. Poi c’è stato un intervallo di tempo ben definito tra quello e il tuo ritorno. Cosa hai fatto in quel periodo?
Stavo scrivendo. Ero in studio. Incontravo persone. In realtà, è in quel periodo che ho incontrato Charli (XCX) per la prima volta, durante una sessione.
Io adoro “Obsessed.” Penso che “Obsessed” prima o poi riceverà il riconoscimento che merita. In realtà è andata molto bene quando è uscita. Mi sono detta: “Ha funzionato per me.”
Qual è la tua reazione pensando oggi a quella canzone? Non solo “è andata bene”, ma perché dici: “Adoro Obsessed”? Qual era il contrappunto?
La gente non era pronta a riceverla, o a ricevere me, come artista, il che è perfettamente comprensibile. In realtà penso che il motivo per cui oggi le persone sono molto più aperte sia perché è evidente quanto io ci abbia messo dentro.
E la realizzazione del remix di “Von dutch” con Charli XCX?
Penso che quando sono entrata in studio con Charli per scrivere il remix di “Von dutch”, quello sia stato davvero un momento di svolta per me. Penso che quando è uscito l’EP — e ovviamente le canzoni sono state leakate, il che è stato davvero devastante — però è successo e penso che sia successo per una buona ragione. Grazie a Dio è successo, davvero.
Quando è accaduto, penso che fossi ancora piuttosto insicura sulle mie capacità di scrittura. Non mi ero mai sentita davvero sicura, come capita. Penso che ogni giorno un artista entri in studio — ero in una sessione proprio ieri — e mi dicevo: “Sono la peggior songwriter di tutti i tempi?”Con il remix di “Von dutch”, quando Charli mi ha contattata per farlo, le ho mandato una nota di risposta. Mi aveva inviato la traccia e mi aveva detto: “Questa è la base del remix che vorrei fare con te. Ecco la canzone originale, così capisci di cosa parla o da dove parte.” E io: “Perfetto.” E poi: “Voglio riscrivere tutto da capo. Non sarà per niente come la canzone originale.”
E io: “Fantastico. Ti mando alcuni testi che ho scritto in passato. Coincidono con questo argomento.” Le ho mandato una nota — sarà stata lunga tipo 10 righe — piena di pensieri e spunti che avevo messo da parte su un tema simile, tipo: “Mentre tu stai nel seminterrato di tuo padre, io sto inseguendo i miei sogni.” Era un periodo molto… da ragazzina viziata, diciamo, senza voler fare il gioco di parole.
Stavo davvero vivendo quel mood. Le ho mandato quella nota, e lei ha detto: “Oh mio Dio, dobbiamo assolutamente usare ‘while you’re sitting in your dad’s basement.’”
C’erano poi un sacco di altri versi in quella nota che hanno ispirato quella che poi è diventata la versione finale del brano. Le ho mandato tutto e lei: “Sì, dobbiamo usare tutto questo. Tutto deve entrare nella canzone.”
E io: “Oh mio Dio, sei sicura di non volerlo cambiare un po’, migliorarlo? Sei incredibile e mi fido di te. Questa è la tua canzone, io voglio solo sostenere la tua visione e la tua arte.”
Ti sei sentita riconosciuta.
Sì. Mi sono sentita davvero riconosciuta. Poi ho canticchiato quella melodia del ritornello — you just want to scream my name — quella piccola melodia che usiamo nel ritornello della canzone. L’ho registrata in macchina e gliel’ho mandata, e lei ha detto: “Perfetto, questo è l’hook.” E io: “Oh mio Dio, non mi ero mai sentita così compresa, vista..
Penso che lei si sia fidata tantissimo di me e di ciò che ritenevo cool per quel pezzo, e questo mi ha dato una grande fiducia nel mio gusto. Sapevo già di avere buon gusto. Questo lo so di me stessa.
In realtà vado molto fiera del mio gusto. Penso di avere un gusto piuttosto raffinato, a modo mio.
Quale sarà il suo prossimo capitolo di vita?
Penso che la storia, per me, sia semplicemente vivere la vita. Lasciare che le esperienze accadano. Essere una brava persona durante le esperienze. Trattare le persone come vuoi essere trattata. Concedermi di giocare. Concedermi di divertirti. Concedermi di sbagliare.
Penso che tutte queste cose abbiano creato ciò che è l’album. È sperimentazione, è assenza di paura dentro a ciò che fa sentire bene.
Credo che questa, per me, sia la storia dietro tutto questo progetto: sentire le cose e seguirle.
Ci racconti qualcosa di “Fame is a Gun”
“Fame Is a Gun” è stata l’unica canzone che abbiamo fatto a New York, a parte “Life’s No Fun”, che è un interludio.
Sì, per fame c’era molta intensità strana in quel momento. Stavamo lavorando a Jungle City, e Ariana (Grande) stava lavorando lì nello stesso periodo, per la deluxe che aveva pubblicato. È scesa a salutarci ed è stata dolcissima. È una persona davvero dolce.È entrata, ha fatto due chiacchiere con noi, e noi stavamo davvero facendo fatica, a quel punto, a continuare a scrivere.
Per fame, sì, eravamo tipo: “Ci serve qualcosa di up-tempo, sexy e un po’ dark.”
È diventato progressivamente più dark col tempo. Avevamo scritto un’altra versione strana del ritornello, a livello di testo, ed ero essenzialmente tipo: “Ok, darò all’etichetta quello che vuole,” cioè una canzone pop dritta.
Quella era l’idea strutturale: “Glielo do e basta.” Abbiamo scritto dei testi assurdi, proprio tipo: “È questo quello che volete?” Un po’ provocatori.Poi abbiamo iniziato a parlare della fama.
Avevamo scritto un’altra demo prima di quella, che non abbiamo mai finito, ma era essenzialmente sulle difficoltà e le tribolazioni che la fama ti impone e ti presenta.
Poi siamo arrivati, credo—non ricordo nemmeno come siamo arrivati a quel verso finale, Fame Is a Gun.
Stavo anche ascoltando tantissimo il brano “The Glamorous Life” di Sheila E. Amo quella canzone.Amo Prince. Amavo quel concetto del tipo: sì, voglio davvero “The Glamorous Life”.
È ciò a cui tutti aspiriamo: questa vita bellissima fatta di sfarzo, glamour, bellezza — e la fama è quasi il prezzo da pagare per quella vita.
Stavo cercando di approfondire questo concetto: fame is a gun — la fama è un’arma, ed è davvero pericolosa, e non sai veramente cosa stai facendo quando la vivi.
La stai puntando alla cieca, e non sai davvero cosa verrà distrutto da essa quando la sperimenti per la prima volta.
È davvero sconsiderata.
Ci siamo immersi davvero a fondo in questo concetto, in questo quasi dialogo tra il lato innocente di tutto ciò e il tentativo di comprenderlo.
Hai vissuto la fama a un livello molto alto. Hai scritto una canzone che riassume in modo davvero intelligente, attraverso una metafora, cosa sia stata quell’esperienza per te. La vuoi ancora?
Sì, la voglio ancora.
Quali parti?
Penso che le parti di questa vita che apprezzo davvero siano le sfide e la pressione sotto molti aspetti. Mi piace la pressione. Mi piacciono le scelte forti e la comprensione del modo in cui le persone funzionano. Non so, sembra molta psicologia, onestamente. Sento di aver capito come le cose possano tentare e persuadere la mente delle persone e come esse trattino gli altri in base a questo.
Sì. Come fai a rimanere una persona che ama gli altri, cosa che chiaramente sei, quando hai visto il lato dell’umanità, un lato di noi come specie che è irrazionale, esplosivo e senza senso?
Penso che questo mi dia molta compassione perché ho vissuto anche una vita completamente diversa fino a quando avevo 19 anni. Vivevo in Louisiana, con i miei genitori. Cercavo di capire cosa fare della mia vita e mi sentivo abbastanza infelice, onestamente, per gran parte di quel periodo, perché sentivo di dover sacrificare la mia passione e il mio amore per l’intrattenimento o anche per la creazione in quel momento. Sentivo quasi… mi è stato detto spesso a scuola superiore che dovevo arrendermi a quei sogni alla fine. Dovevo fare qualcosa di normale, tipo fare l’infermiera o qualcosa del genere. Dobbiamo essere realisti e semplicemente trovare un buon lavoro che paghi la vita.
Servire il capitalismo.
Esattamente. E io ero tipo: “Davvero bisogna fare così? Bisogna rinunciare alle parti di sé che hanno un desiderio e una passione così profondi per l’arte? Ne vale la pena?”
Poi quando sono venuta qui ho capito che tutto è molto più possibile di quanto pensassi all’inizio.
Piccolo. Può essere piccolo.
È molto piccolo.
Fai il lavoro e hai fortuna.
Sì, è molto vero. Sono stata davvero fortunata, onestamente. Penso che il tempismo sia tutto perché il modo in cui è successo tutto con TikTok non avrebbe potuto andare meglio per me.
Come catturi le parti intime della sua vita davanti alla telecamera?
Sai, in realtà non mi dispiace che le persone mi vivano in modo molto onesto e aperto. Davvero, qualsiasi spazio purché sia proprio qui. Lascio entrare chiunque nel mio spazio. In realtà non mi dà neanche fastidio una telecamera quando so che i momenti sono intimi per le persone che li stanno vivendo. Penso che quando inizi a permettere alle persone di vedere queste immagini o di vederti in quegli spazi con zero—hai zero—non c’è abbastanza da comunicare davvero. È ancora molto unidimensionale, secondo me, quando guardi un video di qualche esperienza. Per me sono decisamente un po’ più titubante su questo perché penso che la gente possa trasformare tutto così rapidamente in qualcosa che non era.
Noi aggiungiamo dimensione a tutto.
Sì. Sono protettiva su questo. Anche per i miei ultimi video musicali, abbiamo avuto qualcuno che filmava l’intera giornata, catturando i momenti belli, i momenti brutti, i momenti da diva, i momenti sciocchi, qualunque cosa fosse. Penso che ieri sera stavo riguardando tutto il materiale, e pensavo: “Sì, non so se voglio condividerlo perché penso sia intimo e personale, e in un modo in cui non voglio permettere a qualcun altro di trasformarlo in qualcosa che non è, perché io so cosa è, e le persone che erano lì sanno cosa è.”
Perché quello influenzerebbe la tua compassione.
Sì, penso di sì. Mi fa capire che non voglio invitare una prospettiva cattiva o dannosa su nulla. Penso che a volte le persone lo facciano, anche senza una vera ragione, solo perché sono gelose o perché pensano: “No, sembri davvero felice lì. C’è qualcosa di più profondo. C’è qualcos’altro.”
Dobbiamo mettere da qualche parte le nostre frustrazioni.
Giusto. Capisco questo, tra l’altro, ma non ti darò le mie cose per farlo.
Ci parli del tuo album ‘Addison’
Sì, è fatto. Penso di essere in uno spazio adesso in cui sto davvero aspettando con ansia che esca, e sto cercando di curare tutto nei dettagli. Anche quando devo fare dei post e penso, “Ok, voglio davvero assicurarmi di dare a questo il credito e l’energia che merita.” A volte tendo a tirarmi indietro perché penso, “Boh, lo sto già mettendo fuori. Non sarà troppo se dico, ‘Ok, ragazzi, l’album esce tra tot giorni’, ogni due giorni?” A volte mi rimprovero per questo, e poi penso, “No, lo merita davvero.”
È un’osservazione molto interessante, perché il mio modo di vedere le cose, parlando da artista da tanto tempo, è che è una sensazione diversa da qualunque altra cosa tu abbia promosso prima. Viene da un posto più profondo. Devo farlo per questo progetto? Perché è così intimo e prezioso che a volte non voglio che sembri un escamotage, cosa che può succedere quando sei abituata a essere pagata per promuovere qualcosa o altro. Anche quando ho iniziato TikTok, avevo quella sensazione. No, penso che questo progetto meriti davvero quell’energia da parte mia.
Merita quell’aggressività per far sì che le persone si aprano e lo ascoltino, perché altrimenti, perché altro? Ovviamente l’ho fatto per me stessa e l’ho fatto per i miei amici e per le persone intorno a me che creano con me. Penso anche che vogliamo che la gente ascolti la musica. È per questo che creiamo.