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Intervista SHABLO “Manifesto” è un ritorno alle origini per suonare il futuro

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“Manifesto” è il nuovo album di Shablo, diciassette tracce che affondano le radici nella musica black, esprimendo un’autenticità e una competenza che raramente si incontrano.

Nato da un’esigenza artistica e dal desiderio di divertimento, Manifesto è un ritorno alle origini sonore che hanno segnato l’amore di Shablo per la musica: soul, jazz, R&B e hip hop, già intravisti nei singoli estratti come La mia parola, Spirito libero e Gelido. Accanto a queste influenze si intrecciano le tendenze afro-latin e le sfumature trap’n’B, a testimonianza di un lavoro che guarda con consapevolezza tanto al passato quanto al presente delle sonorità contemporanee.

Registrato in uno studio di San Gimignano, il progetto ha visto la collaborazione di una squadra affiatata di musicisti e interpreti, dai fedeli compagni di viaggio Luca Faraone e Joshua, alla voce soul di Mimì, fino a Tormento e Gué, protagonisti insieme a Shablo dell’esperienza sanremese.

Un mosaico di contributi, da artisti storici come Neffa e Inoki a nuove leve come Ele A. e ospiti internazionali come Roy Woods e Yellowstraps, che arricchisce un album maturo, sofisticato e capace di parlare a più generazioni.

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L’INTERVISTA 

“Manifesto” è un disco che sembra voler mettere in fila le tue radici musicali, ma anche prendere una posizione netta in un presente piuttosto confuso. Com’è nato questo progetto?

“Manifesto” è stato un lavoro di grande libertà. E oggi, nel 2025, fare qualcosa di libero è già un atto coraggioso. Libero dall’ansia del risultato, per cominciare. Il mio primo obiettivo era semplicemente tornare in studio e dedicarmi del tempo. Volevo fare musica per me stesso, per riscoprire e proporre quelle influenze che mi hanno fatto innamorare di questo mestiere. Credo ci sia un bisogno reale, oggi più che mai, di fare musica con l’intento primario di creare arte, di divertirsi, di stare in studio. I risultati sono importanti, ovvio, tutti noi siamo ambiziosi, ma non possono essere la motivazione principale.

Si percepisce una forte impronta jazz, soul, R&B, hip hop classico… 

Sì, decisamente. È un disco che per qualcuno della mia generazione potrà suonare un po’ vintage, e va bene così. Mi piaceva tornare all’origine, riproporre certi suoni in modo nuovo, più fresco. E magari per le nuove generazioni, proprio perché affonda in cose “antiche”, potrebbe suonare come qualcosa di nuovo.
La musica è ciclica. Nessuno inventa davvero, ci si rifà sempre a qualcosa.
Anche Beethoven citava i suoi predecessori. Quindi per me è stato anche un esercizio di stile, un manifesto personale di quello che mi ha formato e di ciò che vedo nella musica oggi.

Un disco d’autore, quindi?

Sì, ma non nel senso classico del termine. È più una visione che aveva bisogno di concretizzarsi. Se no resta solo un’idea vaga. La musica va anche riportata alla materia, a un oggetto che suona davvero. E questo disco suona, eccome.

Nel disco c’è un artista che sembra attraversarlo tutto come un filo conduttore: Joshua. Com’è nata questa collaborazione?

Joshua è stato una scoperta, un artista che mi ha colpito tantissimo. Ha una sua identità artistica molto forte e si è messo completamente in gioco per entrare nel mio mondo. Ha anche lui un grande background di musica afroamericana, e ci siamo trovati molto bene.
La sua presenza attraversa tutto il progetto, è stato fondamentale.

E poi ci sono dei “veterani” come Tormento…

Tormento per me è un maestro, un fratello maggiore. È stato ed è tuttora una grande ispirazione. Mi piaceva l’idea di riportarlo al centro, in un progetto che celebra anche chi ha fatto davvero tanto per questa musica. Spesso, oggi, non si dà abbastanza spazio a chi ha costruito le fondamenta.

Altri nomi importanti nel disco?

C’è Mimi, che è una delle voci femminili più interessanti emerse negli ultimi anni. Giovanissima, ma con una passione e una conoscenza incredibile per il genere. E ovviamente c’è Guè, che è un fratello da sempre e il padrino di questo progetto. Il disco esce con Oyster Music, la nostra nuova etichetta, in collaborazione con Island.

Quale è il tuo rapporto col mercato musicale attuale?

C’è una grande omologazione del suono. Da produttore, sento che tutto suona un po’ troppo uguale. Io sono stato tra i primi a portare la trap in Italia, e ora che tutto è andato in quella direzione, penso sia il momento di tornare un po’ indietro. Riportare organicità, strumenti suonati, vibrazioni vere. Credo che la musica abbia bisogno di equilibrio, e quando si spinge troppo in una direzione, serve controbilanciare.

È anche un disco molto ricco, 17 tracce, e sembra non finire qui…

Esatto, 17 è un numero importante per me – sono nato il 17 – ma in realtà avevo più di 25 brani pronti. Alcuni non sono entrati, magari usciranno dopo. Non è stato un disco strategico: è nato in studio, in tre sessioni di una decina di giorni l’una.  Chi ha capito il viaggio è salito a bordo. Altri magari si uniranno più avanti. È un progetto che inizia adesso, ma potrà evolversi.

Il disco esplora tanti sottogeneri della black music. Come hai lavorato alla costruzione sonora?

Mi sono lasciato guidare dall’ispirazione. Ci sono brani boom bap anni ’90, altri più jazz, altri ancora soul o contaminati con jungle, drum and bass, 2-step. Alcuni sono acustici, altri suonati completamente senza batterie elettroniche. Mi interessava restituire una varietà, ma tutta coerente. Il disco è pieno, ricco, ma non caotico. E, soprattutto, suona.

Come pensi evolverà questa fase del mercato, dominata dai numeri?

Credo che a un certo punto sarà necessario riconsiderare il mercato da un altro punto di vista. I numeri parlano chiaro, anche quelli di quest’estate, per esempio su Spotify: i primi in classifica fanno numeri inferiori rispetto agli anni scorsi. Questo indica che c’è sempre più gente che cerca e ascolta altro. La democrazia digitale ha permesso a tutti di scegliere quello che vuole ascoltare.

Negli ultimi anni c’è stata una crescita evidente dei cosiddetti “producer album”. Come valuti questo fenomeno?

È molto più chiaro rispetto al passato. “Thori & Rocce” con Don Joe è stato uno dei primi producer album della nuova era.
In quegli anni (2011)  i producer album erano ancora una rarità. Certo, in passato c’erano già esempi importanti, come quello di Fritz da Cat, che per me è stato molto significativo. Negli ultimi 4-5 anni però i producer album si sono moltiplicati. Da una parte è cresciuto il numero di produttori che vogliono diventare artisti e fare i propri progetti; dall’altra, il mercato si è ampliato e i produttori sono diventati fondamentali, non solo per la tecnica, ma anche per la direzione artistica. Il produttore, un po’ come un regista di un film, ha la visione insieme all’artista e costruisce con lui il disco. Spesso però il pubblico comune non ha chiara questa figura, che lavora dietro le quinte. Oggi però è più chiaro.

Come sta oggi il rap in Italia?

Il rap è diventato mainstream ma io credo che l’élite non vada sottovalutata. Mi piace parlare anche a pochi che possono comprendere certi suoni, piuttosto che cercare di raggiungere tanti che magari non li capiscono. In passato ho adattato il mio linguaggio per arrivare a più persone, non è una vergogna. Questo progetto invece nasce per arrivare a chi lo comprende, consapevole che magari non sarà un successo di massa. Quello che è mancato alla generazione precedente, secondo me, è stata la continuità nel “educare” l’ascoltatore, anche quando l’urban ha raggiunto numeri importanti nel mainstream. Oggi chi potrebbe guidare i più giovani, spesso non lo fa. Io non lo dico con arroganza, ma con la consapevolezza della visibilità che ho ottenuto. Vorrei far conoscere alcune cose a chi non ha avuto la possibilità di costruirsi una propria cultura musicale.

Il rap e l’urban sono universi molto più ampi di quello che si vede in classifica, che rappresenta solo la punta dell’iceberg. La musica a cui si ispira arriva da decenni di storia, dalla musica suonata, dalla Motown, dalla Black Culture. I ragazzi oggi conoscono certe influenze, ma non tutto il percorso. C’è bisogno di questa consapevolezza, anche perché in Europa progetti  black e soul hanno avuto successo mainstream, mentre in Italia questa strada è ancora poco esplorata. Ma non escludo che succederà.

Quando fai il tuo disco solista, come cambia il tuo approccio rispetto al lavoro da produttore per altri?

Fare il produttore per altri è spesso un compromesso, l’artista ti dice cosa vuole e tu cerchi di realizzarlo al meglio. Quando si lavora su progetti altrui è un lavoro come tanti, anche se fatto con passione. Il proprio disco invece è un atto artistico, un progetto personale dove non conta la classifica ma la soddisfazione artistica. Naturalmente c’è una responsabilità e il desiderio di ispirare, ma non nasce dall’imposizione di “dover insegnare”. È il mio modo di fare musica, e spero che venga apprezzato.

E il mercato è pronto a progetti come “Manifesto”?

Sì, credo di sì. Rispetto a qualche anno fa, il mercato è più ricettivo a progetti che non puntano al mainstream o ai grandi numeri, ma a nicchie che vanno alimentate. C’è una generazione, quella più vicina alla mia età e anche più grande, dai 35 ai 60 anni, che è cresciuta con un tipo di musica e che oggi non si riconosce in molti trend della trap o dell’urban. Quindi c’è un pubblico che richiede qualcosa di diverso.

Hai parlato dell’identità forte di questo disco. Quanto è importante per te difenderla rispetto alle logiche di mercato e ai numeri di classifica?

Per me questo disco è prima di tutto musica, ma anche un concept molto importante che devo difendere. Se avessi voluto fare un disco puramente orientato alla classifica, avrei potuto farlo tranquillamente, come ho già dimostrato di saper fare. Basterebbe unire nomi che spaccano in classifica e andare a pescare certi sound molto simili a quelli che vanno oggi. Però il mercato è diventato strano, non è così facile capire cosa funziona, anche per me che seguo le tendenze. Sicuramente, se vuoi arrivare in classifica, magari non al numero uno, ma in top 50 ci arrivi, se ti orienti verso un certo tipo di musica.

Questo progetto invece è stato diverso. E poi, mai dire mai: anche il pezzo di Sanremo, La mia parola, non è assolutamente un brano da classifica, ma è piaciuto, ci si è creduto. Sono convinto però che senza la grande lente d’ingrandimento di Sanremo non avrebbe raggiunto quei risultati. Quindi, è tutto molto relativo. Detto questo, non escludo che in futuro possa uscire qualcosa in cui anche un artista trap si senta a suo agio e possa fare certe cose. Vedremo cosa succederà.

Quale sarebbe per te una grande soddisfazione oggi?

Per me sarebbe già una grande soddisfazione che la musica venga ascoltata con attenzione. Oggi invece si ascolta molto distrattamente. Invece, dedicare tempo all’ascolto puro sarebbe molto bello. Sarebbe bello dedicare attenzione anche a tanti altri aspetti della vita, che spesso sono trattati in modo distratto. Quindi sì, sarebbe una grande soddisfazione.

Cosa puoi anticiparci del tour e della sua relazione con il disco?

Il tour completa il progetto. Il disco è sicuramente centrale, ma dal vivo c’è ancora molto da dire. Non possiamo portare tutti i featuring, quindi abbiamo scelto una formazione che racconta bene il disco: c’è Joshua come protagonista e Tormento, con grande esperienza live, Mimi con una voce potente, e musicisti che suonano le basi. La metà del repertorio è il disco, l’altra metà un tributo alle musiche che ci hanno ispirato, con cover contemporanee di brani di James Brown, Lauryn Hill, pezzi reggae, soul, rivisitati con nuovi testi rap.

Ci sarà poi un evento a Milano a novembre, al Teatro Arcimboldi dove coinvolgeremo molti ospiti, portando un’attenzione speciale al disco e anche ad altri brani prodotti da me e da altri.
Una grande festa! 

LA TRACKLIST 

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1.⁠ ⁠Lost Manifesto feat. Joshua
2.⁠ ⁠Welcome To The Jungle feat. Joshua, Ernia, Neffa
3. Puoi Toccarmi feat. Guè, Tormento, Joshua
4.⁠ ⁠La Mia Parola feat. Guè, Joshua, Tormento
5.⁠ ⁠Meglio Che Mai feat. Mimì
6.⁠ ⁠Non Si Può feat. Rkomi, Joshua
7.⁠ ⁠Che Storia Sei? feat Nayt, Joshua, Joan Thiele
8.⁠ ⁠Gelido feat. Joshua, Tormento, Mimì
9.⁠ ⁠Mille Problemi feat. Joshua, Irama, Tormento
10.⁠ ⁠The One feat. Joshua, Noyz, Tormento, TY1
11.⁠ ⁠Slow Down feat. Roy Woods, Gaia
12.⁠ ⁠Karma Loop feat. Joshua, Ele A, Tormento
13.⁠ ⁠Killer Baby feat. Joshua, Tormento
14.⁠ ⁠Spirito Libero feat. Joshua, Gue, Tormento
15.⁠ ⁠Love Me feat. Yellowstraps, Joshua, Mimi, Tormento
16.⁠ ⁠Immagina feat. Inoki, Joshua
17.⁠ ⁠Asfalto feat. Joshua

IL TOUR

Il tour partirà il 3 luglio da Perugia dopo la sua partecipazione del 28 giugno a “Tramonti a Nord Est” il festival con Elisa alla direzione artistica dove si è alternato con lei sul palco insieme a Samuel, per questa occasione con due special guest: Rkomi e Joshua.  Gli appuntamenti confermati dello Street Jazz Tour sono: 3 luglio Perugia, Umbria Che Spacca (con Gaia e Rose Villain),  2 agosto 2025 a Locorotondo (BA) per VIVA! FESTIVAL press Arena Valle d’Itri, l’8 agosto 2025 a Roma al SUMMERTIME alla Casa del Jazz e il 12 novembre a Milano al Teatro Arcimboldi.

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