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Intervista – GIGI D’ALESSIO: “Nuje” rappresenta la vita reale, non la vita costruita per i social
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Intervista – GIGI D’ALESSIO: “Nuje” rappresenta la vita reale, non la vita costruita per i social

“Nuje” è il titolo del nuovo album di Gigi D’Alessio.  13 brani che attraversano le sfumature più profonde dell’amore e della vita.

È un album che parla di noi, delle relazioni che ci formano, ci feriscono, ci fanno battere il cuore, di scelte che cambiano il destino. Ogni canzone è un frammento di verità, un’emozione che diventa musica unendo tradizione e modernità, radici napoletane e contaminazioni internazionali, confermando la straordinaria capacità dell’artista di attraversare generi e atmosfere con autenticità e sensibilità.

L’abbiamo incontrato durante la conferenza stampa di presentazione del disco. Ecco il suo racconto. 

L’INTERVISTA 

Che punto rappresenta per te questo nuovo album?

Si dice sempre che certi lavori segnano la maturità, ma non credo esista davvero un punto definitivo. Per quanto mi riguarda, “Nuje” racconta ciò che ho visto e respirato durante la sua composizione.
Ogni canzone ha il suo vestito, la sua identità precisa. Oggi gli album non devono più sembrare collezioni di brani tutti uguali: devono funzionare come piccole compilation emotive. È per questo che ho scelto di lavorare con tre produttori diversi –Adriano Pennino, Max D’Ambra e Kekko D’Alessio insieme a me – perché volevo pluralità di visioni.

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Il titolo “Nuje” ha un sapore quasi narrativo

“Nuje” è un po’ come quando Totò dava un indirizzo per depistare: è un protagonista invisibile ma assolutamente reale. È il depositario delle nostre storie: amori vissuti, altri tormentati, l’amore per la vita, per sé stessi. In un’epoca in cui siamo proiettati verso un materialismo esasperato – come racconto in Diamanti e Oro – ““Nuje” rappresenta la parte autentica, quella che resiste.
La vita reale, non la vita costruita per i social.
Oggi molta gente vuole dimostrare ciò che non è: si fa la foto alle Maldive ma è a Riccione, si fa ritrarre vicino a una barca che non possiede… perché? Perché i social, che dovevamo usare noi, hanno finito per usare noi.

Noi artisti siamo amplificatori: abbiamo il privilegio di parlare a platee enormi. Per me questo privilegio comporta un obbligo morale: raccontare la vita reale, non quella patinata. Se cantassi solo la parte “fake”, tradirei il motivo stesso per cui faccio questo mestiere.

Racconti spesso della distanza tra vita reale e vita “fake”. È un tema centrale dell’album?

Assolutamente sì. La soglia di attenzione è diventata di dieci secondi: scrolliamo tutto, senza vivere nulla. La realtà viene compressa in un’immagine che spesso non corrisponde a niente. E invece io racconto la vita vera. Se non raccontassi quella, non venderei un disco, né avrei gente ai concerti. Invece il pubblico c’è, canta, conosce le canzoni a memoria. Perché riconosce sé stesso.

Nel disco c’è un unico featuring, con Khaled e Jovanotti. Com’è nato?

Era un brano pensato solo per me e Khaled . Poi, una sera, con un bicchiere di vino in mano, ho detto: “Sarebbe bello avere anche Jovanotti”. Ma Jovanotti è uno di quegli artisti apparentemente irraggiungibili. Gli mando un messaggio a mezzanotte, senza nessuna pretesa… e alle otto e mezza del mattino trovo la sua risposta, con lui che mi canta la parte del brano registrata dal telefono. Questa è grandezza: certo quella artistica, che tutti conoscono, ma anche quella umana. C’è chi calcola tutto, e chi invece si lascia guidare dalla musica e dalla generosità.

In una delle tue riflessioni parli di ricchezza, guerra, responsabilità. Perché portare questi temi in un disco?

Perché oggi possediamo strumenti meravigliosi – la musica, la tecnologia, la connessione – ma spesso li usiamo per alimentare disuguaglianze. Spendiamo miliardi per guerre mentre tanti bambini vivono con un dollaro al giorno. A cosa serve la ricchezza se non c’è qualcuno che la “suona”, qualcuno che le dà un senso? Siamo in un mondo pieno di risorse che però vengono utilizzate per distruggere invece che per costruire. Mi sembrava impossibile non parlarne.

Che rapporto hai oggi con il tuo pubblico?

Quando sali su un palco e trovi davanti persone che hanno pagato un biglietto, fatto sacrifici, preso la macchina, pagato il parcheggio, magari comprato una fascia o una maglietta per esserci… non puoi dare nulla per scontato. Io dico sempre che dovrei mandare loro dei fiori. Non è solo per me: è così per tutta la musica. La gente viene ai concerti per sfogare la realtà, per riconoscersi nelle canzoni. E se nelle canzoni c’è la vita vera, la connessione è immediata.

Nel nuovo disco “Nuje” il dialetto napoletano torna al centro del tuo racconto. Perché oggi era così importante rivendicarlo?

Guarda, il napoletano io l’ho sempre portato addosso come una seconda pelle, ma per anni è stato quasi un marchio da nascondere. Quel dialetto che oggi tutti celebrano, una volta lo deridevano. E infatti ricordo bene quando mi dissero di cambiare un verso per poter fare Sanremo: lo cancellai, ma poi, quando arrivò il momento di cantare in diretta, me ne fregai e lo dissi com’era nato. Oggi la situazione è cambiata completamente è diventato quasi uno slang nazionale. E la cosa più bella è che non lo cantano solo i napoletani: nei miei concerti a Piazza del Plebiscito ogni artista invitato mi chiedeva di fare un pezzo in dialetto. Perché il napoletano ha una musicalità sintetica, immediata, seducente. Ti racconto un esempio semplice: dire a una donna “come si femmena” è una magia che l’italiano non può replicare. Per me è una lingua madre, e quando compongo sono le note a dirmi se devo scrivere in italiano o in napoletano. Come mi disse Mogol: “nelle tue musiche le parole ci sono già”. Io devo solo ascoltarle.

Nel disco c’è un brano dedicato a Filumena Marturano, che sembra quasi assumere la forma di una “Madonna laica” per i ragazzi di Napoli. Come è nato?

Tutto parte da una telefonata di Vincenzo Mollica. Anni fa gli scrissi un pezzo per il suo pianoforte, e pochi mesi fa mi chiese un nuovo regalo: una canzone sulla guardia di Filumena. Io ci ho pensato, e invece di rivisitare direttamente Edoardo De Filippo ho deciso di raccontare Filumena ai ragazzi di oggi, molti dei quali non conoscono davvero quella storia. Stiamo parlando di un capolavoro tradotto in 78 lingue, con applausi interminabili in Russia quando lo portarono in scena in napoletano. Io ho voluto restituire quella grandezza. Filumena è una donna costretta a vendere il proprio corpo, che cresce tre figli di uomini diversi e rifiuta di dire quale sia quello “vero” perché per una madre i figli sono tutti uguali. È una storia di dignità e di sacrificio, universale.

Nella parte finale aggiungo una mia preghiera laica. È un invito a proteggere tante ragazze e ragazzi che oggi smarriscono la strada dietro al materialismo. Penso ai casi in cui adolescenti si spogliavano online in cambio di una ricarica sulla Postepay, o per una cintura di marca. Parliamo sempre di sentimenti veri, non di apparenze. È questo il messaggio che ho voluto inserire nel brano.

Negli ultimi anni hai mostrato una grande apertura verso le nuove forme musicali. Ma rispetto ai contenuti, come leggi questa deriva verso l’ostentazione e il racconto forzato della sofferenza?

Vedo tanti ragazzi che si inventano vite che non hanno mai vissuto. Magari sono figli di famiglie splendide, e poi nei brani dicono che il padre li picchiava, che non avevano da mangiare. È diventata una moda raccontare solo il brutto: soldi, violenza, pistole. Ma la vita non è questo. Se oggi fossi un giovane artista parlerei di valori, perché l’amore – per un figlio, per una persona, per il lavoro – non passa di moda. E la musica dovrebbe riportare lì, non alimentare fantasie tossiche.»

Ti preoccupa il modo in cui questi messaggi condizionano i più giovani?

Molto. I ragazzini cercano modelli: chi ha dieci anni non distingue più un supereroe da un personaggio che esibisce soldi e armi. E questo pesa. Vedo una violenza quotidiana che fa paura. Ecco perché dico che la musica è “l’unica lama che non ferisce”: entra dentro, ma non fa uscire il sangue. E quei file vuoti, quelli dei nostri figli, dobbiamo riempirli con qualcosa che abbia un senso.»

Guardando alla scena attuale: qual è il tuo consiglio per i giovani che si avvicinano alla musica, fra autotune, software e creatività digitale?

Usate l’autotune, va bene. Ma studiate. Un cantante che non conosce la musica guarda attraverso lo spioncino; un musicista apre la porta. Se volete essere i protagonisti di domani dovete capire gli strumenti, la teoria, il mestiere. Non basta far suonare un computer: la musica è un linguaggio, e va imparato.»

In molti sostengono che l’intelligenza artificiale stia trasformando la musica. Tu come vedi questo passaggio?

Stiamo entrando in una fase in cui la musica rischia di diventare solo qualcosa da ascoltare, senza più nemmeno l’esperienza visiva o fisica del live. Il problema è che se la musica diventa un prodotto da “vendita sola”, senza un immaginario intorno, le case discografiche smetteranno di investire sugli artisti. Una major è pur sempre un’azienda: deve mantenere dipendenti, fare utili. E oggi investire è sempre più rischioso.

Se arrivano venti ragazzi capaci di comporre interi brani grazie all’AI, le etichette punteranno su di loro. Lo abbiamo visto: spesso hanno fatto successo canzoni senza che sapessimo neppure chi fosse il cantante. È successo tante volte. Oggi accendi la radio e non riconosci più le voci. Se il mercato continua così, le case discografiche prenderanno ragazzi che “smanettano”, non più autori che aspettano l’ispirazione guardando un tramonto.

Rischiamo di dire addio a tutto ciò che rende la musica umana: la frase cercata per ore, il colpo di genio, la parola che ti vibra dentro. Diventerà come Amazon: ordini un brano e ti arriva a casa. Senza storia, senza vissuto, senza la mano di chi l’ha scritto. Questo è il pericolo vero.

L’intelligenza artificiale va regolamentata immediatamente. È una corsa che rischia di portarci a sbattere, e anche forte. Non sono contrario all’innovazione, ma serve una normativa chiara, perché altrimenti ci farà del male prima ancora di portarci benefici.»

In mezzo a tutto questo, quest’estate hai pubblicato “Selfie con la vita”. Se oggi dovessi scattare davvero un selfie con la tua vita, cosa verrebbe fuori?

Sarebbe un selfie pieno, con tutto dentro. Non rimpiango nulla: ho lavorato tanto, ho fatto sacrifici, e i risultati sono arrivati. Sono circondato dall’amore dei miei figli, della mia compagna, della mia famiglia. È un selfie bello, pulito, conquistato. Niente mi è stato regalato, mai. Ma proprio per questo ne sono orgoglioso.»

TRACCIA PER TRACCIA 

Gigi-DAlessio_Nuje-album-2025

Accanto ai singoli già pubblicati – Rosa e lacrime, Cattiveria e gelosia e Un selfie con la vita, fino all’ultima hit Diamanti e Oro con la partecipazione straordinaria di Khaled e Jovanotti, l’album si apre con Natu tipo e penziero, una canzone che parla della fragilità dell’amore e della difficoltà di lasciar andare chi si è amato profondamente, quando il “noi” si spezza e restano due solitudini.

Anche la title track Nuje è dedicata ad un amore intenso ma complicato, nato quasi per caso e vissuto tra passione, rimpianti e paura di perderlo, ma con la consapevolezza che, nonostante gli errori e le circostanze, i due protagonisti sono legati da qualcosa di unico.

Mezze verità è una fotografia di ciò che accade quando una relazione lunga e importante si spegne, trasformandosi in una guerra fredda fatta di avvocati, bugie e rancori, un racconto amaro della difficoltà di separarsi senza ferirsi, così per la coppia come per i figli.

Segretamente tu svela l’amore irrisolto che continua a vivere nei pensieri e nel cuore, nonostante la distanza e il tempo, mentre 24 ore è il racconto di una separazione improvvisa, vissuta come una ferita aperta che lascia spazio a quello di una passione tossica in Veleno d’amore dove il sentimento diventa una dipendenza che fa male, irresistibile, ma letale. L’amore si vive, non si insegna ma si impara, canta Gigi in Ti ha detto mai: il messaggio di un uomo tradito al suo rivale. Non è solo fisico, ma fatto di storia, ricordi e profondità emotiva che lasciano impronte indelebili nell’anima, così come conferma Nun ciò può dicere, la confessione di chi non riesce a dimenticare un amore passato, che lo ha segnato profondamente.

Il disco si chiude con Filumè, una dedica speciale alle donne, ispirata a Filumena Marturano di Eduardo De Filippo: un inno alla forza femminile, alla resilienza e al sacrificio materno per proteggere i figli e garantire loro un futuro, con un appello accorato: “Salvammelle a tutte sti guaglione ca se perdeno senza ragione. Nun fa chiagnere a nisciuna mamma.”

LA TRACKLIST

1. Natu tipo e penziero; 2. Nuje; 3. Un selfie con la vita; 4. Mezze verità; 5. Diamanti e oro feat. Khaled e Jovanotti; 6. Segretamente tu; 7. 24 ore; 8. Veleno d’amore; 9. Ti ha detto mai; 10. Cattiveria e gelosia; 11. Nun ciò può dicere; 12. Rosa e lacrime; 13. Filumè.

I CREDITI 

Il nuovo progetto discografico “NUJE” porta la firma di Gigi D’Alessio – con la collaborazione di Vincenzo D’Agostino ai testi – che ne cura anche la produzione artistica insieme ad Adriano Pennino, Max D’Ambra e Kekko D’Alessio. Le chitarre sono affidate al talento di Michael Thompson, Maurizio Fiordiliso, Maurizio Pica e Daniele Bonaviri, mentre al basso troviamo Cesare Chiodo e Roberto D’Aquino. Gli arrangiamenti degli archi, scritti e diretti da Adriano Pennino, sono stati registrati presso gli AIR Studios di Londra da Haydn Bendall e Roberto Rosu, che ha curato anche il mix e la registrazione presso il Life Studio di Roma. Il mastering è firmato da Steve Fallone presso Sterling Sound New York, mentre i brani 1, 2, 5 e 11 sono stati mixati e masterizzati da Gigi Barocco nello Studio 104 di Milano.

IN STORE 

27 novembre ore 22:00 Nola (NA) – CC Vulcano Buono
30 novembre ore 16:30 Milano – CC Metropoli
3 dicembre ore 17:30 Fiumicino (RM) – The Wow Side Shopping Center
5 dicembre ore 18:00 Molfetta (BA) – Gran Shopping Mongolfiera

IL TOUR 

Di seguito il calendario 2026, in aggiornamento:

17 e 18 marzo ROMA- PALAZZO DELLO SPORT
20 e 21 marzo BARI- PALAFLORIO
23 marzo FIRENZE – NELSON MANDELA FORUM
25 marzo TORINO – INALPI ARENA
11 aprile PADOVA – KIOENE ARENA
17 aprile ANCONA – PALAPROMETEO
18 aprile BOLOGNA – UNIPOL ARENA
24 aprile MESSINA- PALARESCIFINA
8, 9, 11, 12, 14, 16, 17, 18, 20 e 21 giugno CASERTA – REGGIA DI CASERTA, PIAZZA CARLO DI BORBONE

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WEB & SOCIAL 

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