Laila Al Habash mette in discussione la cosa più sfuggente di tutte: il tempo.
E lo fa come solo lei sa fare — con ironia malinconica, lucidità e una scrittura che trasforma la quotidianità in riflessione pop. “Tempo” è il disco della pausa in un mondo che corre: un viaggio dentro la lentezza, ma con un beat che pulsa come un cuore inquieto.
Laila racconta di averlo sognato, questo titolo. E in effetti il sogno è la chiave di lettura giusta: un flusso caldo e onirico dove identità e disorientamento si mescolano come luci in una notte estiva. È musica che suda, nata in un agosto romano deserto, quando il silenzio pesa e tutto suona più vero.
Dentro ci sono ansie, autoanalisi e scatti di dolcezza. Ma anche ritmo, ironia, contrasti. “Tempo” è colorato e nervoso, solare e inquieto allo stesso tempo — un po’ come la sua autrice, che qui mette a nudo fragilità e forza senza mai scadere nell’autocompiacimento.
Si sente che il progetto è pensato per il live: le tracce respirano, si muovono, invocano il palco. È lì che il “Tempo” di Laila diventa realmente suo — condiviso, fisico, umano. La sua voce è un ponte tra culture e generazioni, tra il pop e l’indie, tra l’urban e la malinconia di chi si sente sempre “in ritardo o in anticipo”.
“Tempo” non è Ctrl C e Ctrl V. È un disco che osa essere personale, anche quando inciampa. Non cambia le regole del gioco, ma le rallenta quel tanto che basta per farti ascoltare il battito.
Prendetevi tempo per ascoltarlo. Non ve ne pentirete — anche se, come dice Laila, non sempre “sentirsi bene” ha un significato preciso.
TRACCIA PER TRACCIA
1.Ritento
È la prima traccia del disco ed è un po’ lo statement del progetto. Era un periodo in cui ripensavo tantissimo al passato o al futuro, con l’ossessione di rimuginare o con l’ansia di prevedere. Nella canzone dico che non mi sono goduta dei momenti come avrei voluto negli ultimi anni perché ero sempre insofferente e distratta dall’ansia di anticipare il tempo, avvantaggiarmi, arrivare preparata a problemi che poi non arrivavano mai. Nel ritornello mi rendo conto che mi serve fare l’opposto: andare più piano, svuotare la testa, godersi solo quello che succede nel presente e basta senza altre distrazioni (“navigo col motore spento”=allusione a spegnere internet e il telefono). Sempre a proposito di ossessione col passato, c’è una citazione di Bruno Lauzi del 1978 (“sincera come l’acqua di un fiume di sera” – tratta da “amore caro, amore bello”).
2.Fumantina
Tendo a pensare di dover essere perennemente produttiva, di mettere a frutto tutto il tempo disponibile. Questa cosa, alla lunga, mi sono accorta che mi faceva male, quindi ho cercato di iniziare a pensare il tempo in maniera differente. “Fumantina” è una canzone che ho scritto tempo fa, ci ho messo molto a finirla. In realtà, ho corretto ben poco della prima bozza, ma non ero pronta a pubblicarla, anche se tuttora fotografa una visione delle cose che continua ad appartenermi. È un brano speciale, che entra in contatto con la me che ha iniziato a fare musica.
3.UFO
Qui immagino di fare un viaggio nel tempo e incontrare la me del passato ai tempi del liceo. La prima cosa che voglio fare è rassicurarmi: alle feste dove tanto sognavo di essere invitata e divertirmi alla fine ci sono andata e ho capito che non mi sono persa niente. Altre cose invece non sono affatto cambiate, come la sensazione di essere perennemente in ritardo e disallineata col tempo. Mi sembra ancora che io arrivi alla festa nel momento in cui tutti se ne vanno, allusione al fatto che il mio trasferimento in una grande città ricca e glamour ha coinciso col momento del suo tracollo e crisi di ogni cosa, con tutti che mi dicevano che prima del mio arrivo era tutto molto meglio. Il fatto che mi sento ancora identica a quando andavo al liceo con la sensazione di non essere mai alla festa giusta, di avere sempre l’età sbagliata per quello che mi piace fare, sfigata allo stesso modo, in realtà nel ritornello mi dà forza. Vedere e sentire ancora le cose come quando avevo 16 anni è una carta jolly che non tutti hanno e che io mi voglio giocare, alla faccia di tutti. Cerco di parlare a questa ragazzina con dolcezza e dirle che vorrei venire a prendere a scuola per fare danni insieme e finalmente incendiare il mio liceo e darle dei suggerimenti (“ti scrivo le risposte pronte” – per l’interrogazione, ma anche per difendersi meglio da tutti i prepotenti, specialmente gli uomini) e chiederle di non dare retta a questo controllo estremo che le fa venire voglia di punirsi e affamarsi. Fun fact: qualche mese dopo aver scritto questa canzone c’è stata davvero una sparatoria davanti al mio liceo, finita anche sui giornali.
4.Che lavoro fai
Volevo creare un beat drum and bass, genere che mi ha appassionato negli ultimi anni. Ermanno ha costruito questo beat in maniera da rispecchiare anche una certa esigenza di delicatezza. Nella canzone parlo del fatto che a Milano mi sembra che appena conosci qualcuno tutti vogliono subito sapere che lavoro fai, di cosa ti occupi, come se il lavoro che faccio fosse un’informazione sempre sinistramente utile all’altro. L’ho notato perché è una cosa che a Roma non succede, non è la prima cosa che la gente si chiede quando si conosce e a volte sono esasperata dalla frequenza di questo tipo di domande, perché per la maggior parte del tempo io cerco solo di fare del mio meglio e basta, non posso programmare più di tanto il futuro, anzi cerco proprio di fare l’opposto. Descrivo il momento in cui nel mezzo dell’ennesima conversazione che sto intrattenendo senza nessun interesse, mi sembra di vedere passare tra la gente un ragazzo del mio paese con cui ero amica da piccola, ma non è lui. Inizio a rendermi conto che eravamo amici e ci siamo persi, inizio a chiedermi che ci faccio qui a parlare di cose inutili, ma ho paura che il mio interlocutore se ne accorga e di sembrare matta. Parlo tanto di memoria: so a memoria le stazioni del treno che devo passare per andare dai miei, so a memoria come andrà a finire questa conversazione noiosa ma non so assolutamente com’è adesso la vita di chi ho avuto intorno per anni. “Com’è la vita di chi resta? / che cosa cerchi? / Vai ancora a messa?” Mi pento di essere andata via e mi sorprendo a pensare dopo che ho passato tutta la vita a disprezzare l’ambiente di provincia (andare a messa, i parchetti, il mio amico sfigato e drogato coi tatuaggi) e a voler scappare a tutti i costi, forse i veri coraggiosi sono quelli che restano, non di certo io che ho lasciato tutto, me ne sono andata lontano per cercare chissà cosa e non ho trovato niente.
5.Voglia
Questo testo che avevo nel cassetto da anni parla della storia di una mia amica. L’ispirazione è sicuramente “Salutala per me” di Raffaella Carrà. Una canzone che mi ha sconvolto appena l’ho sentita perché aveva una storia assolutamente originale: lei che capisce di essere stata ingannata e tradita ma al posto di arrabbiarsi dice: ti prego, và da lei e non farla più aspettare, almeno con lei comportati bene, in amore c’è chi vince e c’è chi perde e stavolta è andata così. Non c’è rabbia, non c’è rancore nei confronti della donna, mi è sempre sembrata una canzone assurdamente femminista e originale nello storytelling. Nel ritornello mi piaceva l’immagine di strappargli il cuore non per vendetta, ma per vedere effettivamente come fanno a starci due amori dentro. Nel testo c’è più incredulità che rabbia, e la prima mi sembrava un sentimento più interessante da esplorare perché più sfuggente.
6.Mi servi
E’ una canzone d’amore in cui mi sono divertita tanto a scrivere la metrica. Quando si poteva ho cercato di associare ad ogni elemento della batteria una precisa consonante, così da sembrare che anche le parole suonassero come una percussione e la voce diventasse un terzo elemento della parte ritmica, oltre a basso e batteria. La frase “mi servi perché sei un uomo vero” è una frase molto forte e anche scorretta (Pietro mentre la scrivevo mi ha chiesto provocatoriamente se allora per me esistono uomini non veri e uomini veri) che ho voluto usare per citare il mondo delle canzoni italiane anni 60-70. Precisamente qui ho citato “Come ti vorrei” di Iva Zanicchi. In quegli anni gli autori scrivevano canzoni bellissime per interpreti femminili usando un linguaggio forte nei testi, che puntava a descrivere un amore verso un ideale maschile molto stereotipato (l’uomo che fuma, che fa il duro, che non parla ma ti sa stare vicino, penso a “È l’uomo per me” di Mina o “Ma come ho fatto” di Ornella Vanoni). Mi sono presa la libertà di citare quel tipo di scrittura maschile dedicandola ad un uomo, un po’ per provocazione e un po’ perché adoro l’immaginario di quel periodo italiano e mi piaceva mischiare un beat quasi hip hop (genere che comunque descrive ancora gli uomini così come negli anni 60) con un’immagine – quella di un uomo vero – che è al limite del fuori tempo/fuori contesto, nel 2025. Questo non vuol dire che io pensi esistano uomini finti e uomini veri, ma col fatto che gli uomini nelle canzoni scrivono alle tipe solo che sono belle e basta e non sembra un problema per nessuno, ho deciso che l’avrei tenuta così.
7.C’è tempo
Canzone che ho scritto pensando ad una ragazza molto presente nella mia vita che, come me, passa tantissimo tempo a organizzarsi la vita e vivere con ansia il futuro, guardare sempre e solo cosa le manca, senza godersi il presente. Volevo inserire un momento anche di sollievo all’interno del disco, una canzone più ariosa. L’ho pensata come un momento sing along. Il titolo racchiude tutto.
8.Desiderio
E’ un pezzo quasi senza struttura, molto soul. Parla del desiderio, non mi rivolgo a nessuno. Parla della natura sfuggente e fastidiosa del desiderio, perché esiste solo se rimane insoddisfatto: “il desiderio vive di fame” al posto di muore di fame, “metto a fuoco senza bruciare” nel senso che sono consapevole di avere desiderio di qualcosa, ma il desiderio stesso mi sembra che non vuole che io lo consumi, che mi bruci come vorrei, “resto come uno verticale/definizione che non so dare” uno verticale come il cruciverba, ma anche come una persona ferma, in piedi, che non fa niente. Adoro il finale che ha fatto Ermanno con l’assolo di chitarra e le voci che continuano a rimbalzare dappertutto.
9.Timido
Volevo un momento più tropicale all’interno dell’album, mentre scrivevo il disco sono andata in tour in Brasile, ho imparato a parlare il portoghese e ho passato mesi a sentire esclusivamente musica brasiliana. Quando ero lì, notavo che se in Italia sono sempre stata considerata piuttosto espansiva e disinvolta, in Brasile ero considerata molto timida e pudica. Ed effettivamente era vero, le persone lì hanno una visione della vita estremamente più rilassata, divertita e un approccio molto più sciolto e smaliziato, informale. Io in confronto a loro sembravo fredda. Nel testo ho provato a sfidarmi scrivendo qualcosa che asseconda di più questo lato sfrontato. “Dove va il tempo?/dove va tutto questo tormento?” è una chiusa con una domanda, mi chiedo in fondo a cosa serve davvero il tempo e a cosa serve tormentarsi per una situazione dove non ho nessun controllo.
10.Sahbi
Sahbi è probabilmente la canzone più divertente che abbia scritto in questo disco. Ho impiegato anni a trovare la chiave giusta per il ritornello, finché non è arrivato in inglese: era la soluzione perfetta, perché si adattava meglio all’atmosfera del disco. Con questo brano volevo raccontare una scena che mi capita spesso: sono a una serata, voglio solo ballare e divertirmi con le mie amiche, e puntualmente arriva qualcuno che insiste per attaccare conversazione. Sahbi in arabo significa “amico”, un po’ come dire “fra” in italiano. Mi faceva ridere giocare sul fatto che sembro straniera, ma non araba, e rispondere in arabo ‘non parlo italiano’ pur di liberarmi dagli scocciatori.
11.Sogno 86
Ero con Emanuele in studio per la prima volta, ci siamo stati immediatamente simpatici e mi ha proposto di usare degli elementi di musica araba. Abbiamo usato dei campioni di tamburi e abbiamo preso il via. Spesso scrivo canzoni sui sogni perché sono terribilmente affascinata dai messaggi ubriachi del subconscio. Tutta la canzone parla della sensazione che si ha nei primi 10 secondi al risveglio dopo un sogno molto particolare e dettagliato, quando non si riesce ancora a capire se era tutto vero o meno. Vorrei ricordarmi e decifrare il sogno ma non ci riesco, come sempre mi sembra di aver visto un film girato da un regista turbato che conosce i miei segreti più intimi. La parte “schiocca la lingua contro i denti / sì sono ancora qua” fa riferimento alla simbologia dei denti che cadono nei sogni. Schiocco la lingua contro i denti e controllo se ce li ho ancora tutti. Nello special “torna il sollievo come un’ombra al sole / esco di scena ma il sipario si muove/ essere vivi è un’impressione” descrivo il riaddormentarsi pacificamente e ricadere in un altro sogno che inizia, sapendo di essere vivi ma cadendo in uno stato simile, dopotutto, alla morte.
12.Tuareg
Questa è stata la prima canzone che ho scritto per il nuovo album. È venuta fuori tutta d’un fiato, come se avesse preso vita da sola, un po’ come quando scoppia un pianto improvviso e, subito dopo, ci si sente più leggeri. Fin da subito ha avuto una sua forza, una sua indipendenza. L’ho scritta con chitarra e voce, e non è mai cambiata dalla prima versione. Ho registrato al volo una demo e l’ho mandata a Niccolò Contessa, chiedendogli se avesse voglia di occuparsi della produzione, perché sapevo che avrebbe saputo valorizzarla e darle un tocco speciale. Gli è piaciuta immediatamente. Abbiamo deciso di mantenerla il più possibile essenziale: solo chitarra acustica, una sola traccia vocale, qualche intervento discreto di fiati, un accenno di batteria acustica sul finale e alcune registrazioni ambientali che Niccolò aveva fatto su una spiaggia durante una giornata fuori stagione. In sottofondo si sentono bambini che giocano in lontananza e il rumore delle onde che si infrangono sulla riva.
SCORE: 7,25
DA ASCOLTARE SUBITO
Ufo -Che lavoro fai – Timido
DA SKIPPARE SUBITO
Non mi è venuto di skippare nulla!
TRACKLIST
1.Ritento
2.Fumantina
3.UFO
4.Che lavoro fai
5.Voglia
6.Mi servi
7.C’è tempo
8.Desiderio
9.Timido
10.Sahbi
11.Sogno86
12.Tuareg