Ci sono dischi che arrivano dopo una lunga decantazione, non per semplice lentezza produttiva ma perché certe fratture chiedono tempo per essere nominate.
“Trovarsi soli all’improvviso”, secondo capitolo di Marco Giudici, sembra nascere proprio da questa esigenza: non tanto raccontare la perdita, quanto scandagliare l’interstizio fra ciò che si lascia andare e ciò che resta incastrato nella memoria.
Cinque anni dal debutto (in mezzo un Ep in parte inglobato in questo disco) non sono un vezzo, ma un margine di sopravvivenza. Giudici li usa per mettere a fuoco un lessico emotivo che non vira mai al sentimentalismo, preferendo un registro asciutto che affronta il distacco nelle sue varianti: persone che si allontanano, gesti che si logorano, desideri che si inabissano. Il nucleo è qui: la sottrazione come gesto creativo.
Le nove tracce, due delle quali strumentali, utili come parentesi respiratorie, funzionano più come stanze comunicanti che come episodi isolati.
Marco Giudici non ha paura di usare parole, mostrare ferite e cicatrici in cui è facile riconoscersi. Lo fa nel suo modo, con testi profondi e paradossale leggerezza. Ci prende per mano e ci accompagna in un mondo intimo e delicato, sfrontatamente sincero, che a volte ricorda le atmosfere di Sufjan Stevens e dintorni.
A mio modo di vedere a volte sono proprio gli angoli più tosti quelli più belli da condividere e c’è un modo quasi leggero di farlo – o forse di abbinare leggerezza alla pesantezza – che io trovo profondamente necessario e liberatorio. Come quando dopo un funerale le persone si mettono ad un bar e ridono assieme di cose leggere – senza dimenticarsi del momento – quasi fosse quella la vera celebrazione.
Le scelte timbriche sottolineano questa dialettica. Campane tubolari, celesta, dulcitone: strumenti con un corpo fisico evidente, quasi fragili nella loro presenza, che contrastano la componente più eterea dei testi. Le batterie, affidate ad Alessandro Cau e Nicholas Remondino, oscillano tra impatto e sospensione, come se il ritmo stesso esitasse. L’impianto sonoro cerca una tridimensionalità imperfetta, volutamente materica, lontana sia dalla patina minimalista sia da ogni patetismo orchestrale.
La produzione condivisa con Adele Altro ribadisce un sodalizio ormai consolidato e qui funzionale: non c’è compiacimento, semmai un ascolto reciproco che porta gli arrangiamenti a una sobrietà consapevole. I cori — Marta Del Grandi, Cecilia Grandi e altri collaboratori affini all’universo di Giudici — aggiungono una coralità discreta, mai decorativa, come presenze che entrano in punta di piedi e spariscono senza saluto.
“Trovarsi soli all’improvviso” è un disco che non cerca approvazione e non pretende di essere rivelatorio. È un lavoro coerente, misurato, che mostra un autore pienamente dentro il proprio processo ma ancora in transizione. Una prova solida, non definitiva: proprio per questo interessante. Giudici non offre scorciatoie emotive, semmai un invito a restare nel margine, dove le crepe illuminano più delle superfici.
Marco è un bivio sicuro da ascoltare … una abitudine di vita, una cosa normale, in fondo agli occhi, per non trovarsi soli, soli all’improvviso …
SCORE: 7,75
DA ASCOLTARE SUBITO:
Abitudini di vita – Un bivio sicuro – Ricordan tutti un gran frastuono
DA SKIPPARE SUBITO
Un piccolo gioiellino intimo, sospeso, ricercato e raffinato.
TRACKLIST:
1. Abitudini di vita
2. Un bivio sicuro
3. Trovarsi soli
4. (pausa)
5. Solo all’improvviso
6. Una cosa normale
7. Ricordan tutti un gran frastuono
8. Addiaccio
9. (in fondo agli occhi)
DISCOGRAFIA
2020 – Stupide cose di enorme importanza
2025 – Trovarsi soli all’improvviso