Recensione: BRESH – “Mediterraneo”

Bresh è partito. Non solo per mare, ma per un viaggio che ha a che fare con la pelle, con l’età che avanza e con quello che resta attaccato addosso quando si passa dai venti ai trenta.

“Mediterraneo” è il racconto di questa traversata: un disco che parla di mare ma in fondo parla di crescita, di come si resta se stessi anche quando tutto cambia.

Sedici tracce che suonano come una rotta personale: si parte dalla Liguria, dalle radici, dagli amici di sempre, e si arriva a un altrove che è ancora indefinito ma necessario. È un disco che mescola sogni e dubbi, libertà e smarrimento, poesia urbana e nostalgie sincere. Una raccolta che mette insieme inediti e hit già conosciute, non per fare numero, ma per dare un senso a un percorso che altrimenti resterebbe sparso in mille singoli.

Bresh scrive come chi ha vissuto e non deve dimostrare. Non cerca pose né punchline gratuite, ma immagini vere, affilate. A tenere il timone c’è Shune, solido, elegante, mai troppo presente. E quando entrano le voci degli ospiti, lo fanno con un peso preciso: Tedua, fratello d’armi; Kid Yugi, penna scura e potentissima; Sayf, giovane promessa che brilla già; Achille Lauro, citazione vivente per una generazione che è cresciuta con le sue maschere.

Mediterraneo non esplode, ma resta. È come un vento buono che gonfia le vele senza fare troppo rumore. Non cambia la vita, ma ti ci fa riflettere meglio. E per chi ha imparato a vivere tra onde emotive e GPS sballati, può bastare.

DA ASCOLTARE SUBITO