Recensione: ARTIE 5IVE – “Big 5”

Artie continua a fare “La Bellavita” con “BIG 5”, un EP compatto da cinque tracce che ha tutto il sapore di un progetto laterale, quasi uno spin-off spontaneo nato nei postumi creativi del suo ultimo disco.

Tredici minuti che sembrano uscire direttamente dal ventre molle di quella “vita bella” che Artie racconta da tempo: fatta di macchine, cash, bad bitches, sostanze e iconografie da film crime. Una narrativa iper-realista e muscolare, che continua a giocare tra desiderio, rivalsa e lifestyle.

“BIG 5” non è un punto di svolta, ma una conferma. Artie resta fedele a se stesso e alla sua estetica, spingendo forte su mood e coolness. L’EP funziona come statement, un manifesto confermativo del suo sound e del suo personaggio.

I beat di Ddusi sono sempre stilosi, puliti e di tendenza, pensati per la cassa dritta delle cuffiette e per il pre-serata di chi vuole salire di giri. È musica che ti gasa, senza troppe pretese di profondità ma con l’aria di sapere esattamente cosa vuole dire – e come dirlo.

Il vero asset di Artie rimane la voce: baritonale, sicura, con un flow che sa essere tagliente o più rilassato quando serve. Peccato per l’abuso d’autotune ascoltate 7eleven  sembra quasi irriconoscibile. Quando Artie si snatura perde un po’ di quella presenza che lo distingue nel panorama.

Tra i featuring spiccano Nerissima Serpe e Papa V., in un brano che sembra una outtake di La bellavita, e che rafforza l’idea che BIG 5 sia più un cassetto aperto che un nuovo capitolo.

In definitiva, “BIG 5” non alza l’asticella né la abbassa. È un episodio, non una svolta. Ma ribadisce la solidità di Artie nel sapere esattamente dove sta e cosa vuole: essere il volto credibile di una scena che ha fame di stile, identità e realness.

Ora lo aspettiamo a una crescita lirica, più rischiosa, più vera. Per adesso ha fatto Bingo ed  è un Big Five e va bene così.