MICHELE BRAVI “tu cosa vedi quando chiudi gli occhi” il racconto del nuovo disco

MICHELE BRAVI “tu cosa vedi quando chiudi gli occhi” il racconto del nuovo disco

“tu cosa vedi quando chiudi gli occhi” è il titolo del nuovo album di Michele Bravi, disco in uscita il 12 aprile e lo vede tornare dopo il suo disco del 2021 “La geografia del buio“.

“tu cosa vedi quando chiudi gli occhi” è  un concept album liberamente ispirato agli scritti di Oliver Sacks, neurologo e autore di fama mondiale.
L’album è così il risultato di un percorso personale e artistico che ha preso forma in una stagione di riflessione e ricerca creativa in cui l’artista ha indagato le profondità dell’esistenza umana aldilà della percezione del reale e la necessità dell’individuo di un racconto interiore continuo come unico mezzo per conservare la propria identità.

IL CONCEPT 

L’album, scritto da Michele in viaggio per l’Europa tra Parigi, Londra, Amsterdam e Milano, è diviso in tre capitoli musicali lo sguardo, l’immagine e l’iride: lo sguardo è cosa vorremmo vedere con gli altri, l’immagine è cosa vediamo degli altri, l’iride è cosa cerchiamo di non far vedere agli altri.

Da “viaggio nel tempo” ad “atlante degli amanti”, passando per la straordinaria collaborazione con Carla Bruni in “malumore francese” e quella con Giuliano Sangiorgi, autore di “ti avessi conosciuto prima”, ogni traccia del disco diventa una finestra sulle metafore dell’esistenza umana, tra esperienza e astrazione.

“tu cosa vedi quando chiudi gli occhi” è un’analisi sognante sul modo in cui rappresentiamo il mondo interiore, una celebrazione della natura melodica e scenica della vita interiore, della memoria e dell’immaginazione.

IL RACCONTO DEL DISCO 

Il disco si ispira liberamente agli scritti di Oliver Sacks (1933 -2015). Nei suoi libri, dal più noto The Man who mistook his wife for a hat (1985) a Musicophilia (Tales of music and the brain) (2007), il dottor Sacks indaga le forme più nascoste dell’alterazione del sé: dall’afasia all’agnosia e mille altre forme ancora.

La domanda che sta alla base delle sue ricerche è: “cosa succede all’individuo quando perde il modo tradizionale di concepire il concreto e inizia a vivere in una nuova astrazione?”

La più grande considerazione che Sacks fa, analizzando la storia medica e personale dei suoi pazienti, è la necessità dell’individuo di un racconto interiore continuo come unico mezzo per conservare la propria identità. Per fare un esempio, nel raccontare la storia del Signor P, musicista e insegnante di musica, affetto da un grave deficit dell’emisfero destro del cervello e di conseguenza vittima di prosopagnosia (impossibilità a decifrare i volti) e afasia ottica (impossibilità a tradurre le sensazioni visive) [“Visivamente, era smarrito in un mondo di astrazioni inanimate”], il dottor Sacks scrive:

“Penso che la musica avesse preso per lui
il posto dell’immagine. Invece di un’immagine corporea
aveva una musica corporea: ecco perchè
era in grado di muoversi e agire con tanta disinvoltura,
ma si bloccava completamente, confuso,
se si interrompeva la «musica interiore».”

The Man who mistook his wife for a hat, Oliver Sacks

Eppure la musica non ha concetti, non formula proposizioni. E’ scevra della materia stessa del linguaggio. Non ha alcuna relazione necessaria con il mondo reale. In termini biologici, la musica è inutile, completamente spoglia di qualsivoglia funzione adattativa.

In tal senso, è sempre Sacks a formulare una controbattuta. Nel citare Schopenhauer, ripropone infatti un passo di Die Welt als Wille und Vorstellung, Il mondo come volontà e rappresentazione (1819):

“Ciò che nella musica vi è d’ineffabilmente intimo,
che ci attrae come un paradiso familiare,
e pur eternamente lontano, che è così comprensibile,
eppur così inspiegabile, sta nel suo riprodurre
tutte le commozioni della nostra intima natura,
ma senza la loro tormentosa realtà”.

Il fatto che trattati scientifici sulla mente umana siano diventati l’impulso che ha riempito di note e parole i miei quaderni l’ho inizialmente interpretato come un fenomeno del tutto irrilevante, da non considerare in alcun modo eccezionale. In effetti, però, riflettendoci ora che le canzoni hanno acquisito la loro forma finale, mai avrei potuto credere che la scienza coi suoi numeri e i suoi ordini assoluti potesse in qualche modo comunicare con il più imbizzarrito e stravagante linguaggio poetico.

Cerco, con queste righe, di prendere dalla scienza la volontà di stabilire le cause di un tale ponte di comunicazione scienza-musica e, per quanto non mi sia ancora chiaro se ciò che ho trovato sia più una giustificazione scientifica o più una retorica poetica, credo che le parole che Charles Bonnet scrisse studiando le allucinazioni a conseguenza della sindrome che poi prese il suo nome (sindrome di Charles Bonnet), siano un bello spunto di riflessione. Bonnet, nelle sue ricerche, si interrogava su come “il teatro della mente potesse essere generato dal macchinario del cervello”. Forse è questo: sentendo parlare del palcoscenico, a me è venuto in mente lo spettacolo, leggendo di neuroscienza, ho scritto di immaginazione. Non è un caso che il mondo immaginifico del sé sia il fil rouge di questo album. Ho scritto questo disco per celebrare la natura melodica e scenica della vita interiore, della memoria e dell’immaginazione.

Un altro mattone con cui giustifico a me stesso il come la scienza mi abbia portato senza fermate intermedie al territorio creativo credo sia ancora Oliver Sacks che in Hallucinations (2012) introduce e spiega il concetto di palinopsia. Al di là del fascino per le parole le cui origini greche stabiliscono una fascinazione assoluta ai miei occhi, dietro a questo vocabolo non sono riuscito a vedere solo il fenomeno di illusione ottica che Sacks sviscera dettagliatamente nei suoi testi. Ci ho intravisto piuttosto il fine ultimo dei cantautori e di qualsivoglia creativo. Una canzone altro non è che una ripetizione di una percezione, una traduzione sublimata nell’arte di ciò che nasce in principio come concreto e tangibile.

Nelle canzoni l’immediatezza dell’esperienza si mescola all’astrazione. Nella musica ogni momento si riferisce ad altri momenti e li contiene. In stato cosciente, tratteniamo solo i ricordi che possono diventare arte. L’album è un viaggio tra le metafore che spiegano la terra sulla quale camminiamo, un’analisi sognante sul modo in cui noi rappresentiamo il mondo interiore, un mondo in cui l’immaginazione diventa il collante tra anima e corpo, tra noi e la realtà.

Ogni canzone nasce da un gioco di immaginazione. “Immagina se…”

Gli occhi con cui vediamo il reale hanno cornea, retina e cristallino.
Gli occhi con cui comprendiamo il reale, gli stessi occhi attraverso i quali restituiamo a noi stessi l’esperienza dei paesaggi,
hanno un solo nome: immaginazione.
Questi occhi li trovo infinitamente più interessanti.
Per conoscere qualcuno è brutalmente semplicistico
chiedere che ci racconti la sua storia.
E’ di gran lunga più misterioso, appassionante e intimo chiedergli cosa ha visto quando l’ha vissuta.

TRACCIA PER TRACCIA 

  • Lo sguardo

viaggio nel tempo

La prima canzone dell’album è un brano che viaggia non sul piano dello spazio ma su quello del tempo. Una riflessione sulle possibilità infinite dell’anacronismo.
Un’atmosfera rarefatta dove anche gli strumenti dell’intero album iniziano timidamente a presentarsi e introdursi all’ascoltatore per accompagnarlo con garbo avanti e indietro nel flusso cronologico del mondo.
Se il tempo è solo un’impressione, allora giocare con la sua disorganizzazione è una possibilità.

mi sono innamorato di te

La seconda traccia dell’album cerca di rispondere alla domanda “quando è stata la prima volta?”. L’unica risposta possibile è che la prima volta è stata quando la grana dei difetti ha iniziato a farsi evidente.
E’ alla legnosità del pianoforte che è affidata la tensione emotiva del racconto in cui la metrica della parola salta da un verso all’altro come in un groviglio di lenzuola e labbra che si sfiorano.

leggi dell’universo

Districare le leggi dell’universo diventa possibile nell’immaginazione. In un gioco tra paradossi, gravità e fasi lunari, il tappeto stellare diventa una coperta sotto la quale fare l’amore.
Una canzone in cui è inevitabile lasciare gli ormeggi del reale e affidarsi al soffio dell’impossibile.
L’orchestra che si contrae e si espande come onda del mare racconta il ritmo e l’armonia del creato in tutta la sua potenza violenta e disarmante bellezza.

per me sei importante

Nel capitolo musicale che chiude la prima parte del disco si inizia a leggere negli occhi dell’altro una vibrazione diversa. L’incontro tra due anime sottili che nascondono il desiderio di appartenersi in un luogo piccolo, piccolo. Lontano dal mondo.
Il saliscendi tra silenzi e suono è il perfetto palcoscenico per raccontare due passeggeri i cui percorsi per un attimo soltanto si intersecano.

  • l’immagine

odio

Una canzone sulla spietata dipendenza dal corpo dell’altro.
La declinazione più ossessiva del racconto d’amore che continua a procedere da una canzone all’altra.
Quando l’odio inizia a irrorare le vene di un rapporto a due, “ti amo” è la più grande menzogna che la nostra bocca possa sputare in faccia all’altro. Spero che questo brano possa urlarle contro quei momenti della vita in cui era più facile far battere un cuore piuttosto che riconoscerne il veleno.

mal d’amore

La sottomissione diventa metafora di un vecchio modo di concepire l’amore dove la libertà di chi si concede sembra possibile solo con la violenza di chi riceve la richiesta.
Un gioco caleidoscopico tra illusioni e peccato, tra cacciatore e preda, in cui il gusto vintage della melodia prova a mescolarsi a verbosità più ostinate e frenetiche.

 umorismo italiano

Una parodia malinconica sulla dittatura della risata. Cosa succederebbe se fossimo noi i protagonisti di un qualche sipario grottesco e sguaiato? Una canzone che critica il macchiettismo dell’italianità e insieme evoca il folklore della banda in un labirinto di contraddizione artistica.

malumore francese (feat. Carla Bruni)

Una canzone sulla decadenza della malinconia tra desideri ed erotismo in cui i corpi sporcati dai sensi iniziano a lanciarsi la luna con tutta l’eleganza della noia.
Un sogno quello di sentire la seta della voce di Carla Bruni muoversi su una mia melodia.

  • l’iride

infanzia negli occhi

Un coro confuso, nebbioso, quasi impenetrabile apre le porte dell’ultima parte dell’album. c’è qualcosa che si nasconde nell’iride di chiunque, come se tutta l’infanzia ci si affollasse dentro, nonostante le voci più smarrite di noi stessi cerchino affannosamente di chiuderlo alla vista altrui.

se ci guardassero da fuori

Noi conosciamo la nostra immagine, sappiamo dirla e descriverla ma come si può avere la certezza che la nostra immagine interiore sia speculare all’immagine che gli altri hanno di noi?
Un’analisi ironica e sognante dell’appartenersi che salta su colpi di rullante come i salti di un bambino.

ti avessi conosciuto prima

E se alla parola amore avessimo dato significati sbagliati? Un regalo cantautorale che Giuliano Sangiorgi fa a questo racconto in cui la corsa incontenibile di un fiume di parole diventa una poesia che chiamiamo solo amore.

sporchissima poesia

I luoghi dell’immaginazione possono essere infiniti ma i luoghi della nostra vita hanno un perimetro, hanno finestre e porte. Nonostante la loro realtà è con l’immaginazione che quei luoghi diventano testimoni della nostra storia, del nostro “insieme”.

atlante degli amanti

La forma poetica è la sublimazione più alta del reale dove è possibile dormire sopra a un respiro e nuotare in uno sguardo.
Un walzer intricato come un flusso di coscienza e delicato come l’atto di spogliarsi.
Se nel primo brano dell’album l’orchestra era timida e cauta, in chiusura al racconto delle tredici tracce diventa possente e colossale: libera tutte le sue vibrazioni per poi richiudersi con la stessa gentilezza di un battito di ciglia.

In ultimo, non posso far altro che sottolineare la quantità di letteratura che è nascosta in questo disco, tra fotografie chirurgiche e pennellate rarefatte. E’ quasi impossibile stabilire se la genesi di una canzone sia da attribuire ad una melodia o ad un testo. Tuttavia, nel concepire queste canzoni, posso dire di aver trovato nelle parole una possibilità di melodia. La stessa possibilità che come lettore accanito di narrativa ho scoperto e imparato ad amare. La parola è evocazione, è tono emotivo, è suono.

IL VISUAL 

La traduzione visiva dell’album è affidata all’occhio di Mauro Balletti, uno degli artisti italiani tra i più innovativi e sofisticati, che ha realizzato la cover del disco. Il suo lavoro tra pittura e fotografia ha già sorpreso il grande pubblico con le cover più iconiche di Mina. E ancora a impreziosire l’immaginario artistico c’è anche l’universo immaginifico di Antonio Marras che arricchisce l’estetica complessiva realizzando le scenografie e affidando a Michele le sue creazioni sartoriali.

La cover del disco è realizzata dall’artista Mauro Balletti:  Il suo lavoro tra pittura e fotografia ha già sorpreso il grande pubblico con le cover più iconiche di Mina. E ancora a impreziosire l’immaginario artistico c’è anche l’universo immaginifico di Antonio Marras che arricchisce l’estetica complessiva realizzando le scenografie e affidando a Michele le sue creazioni sartoriali.

IL TOUR 

A maggio Michele Bravi sarà a teatro per due speciali anteprime, organizzate e prodotte da Vivo Concerti: il 12 maggio al Teatro Dal Verme di Milano e il 26 maggio all’Auditorium Parco della Musica (Sala Sinopoli) di Roma. 

DOMENICA 12 MAGGIO 2024 |MILANO @ TEATRO DAL VERME
DOMENICA 26 MAGGIO 2024 |ROMA @ AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA ENNIO MORRICONE

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