Intervista – MICHELE BRAVI: con “odio” destrutturo la mia routine

Intervista – MICHELE BRAVI: con “odio” destrutturo la mia routine

Michele Bravi torna con odio (in uscita il 27 ottobre), brano che anticipa il nuovo disco per il quale, ci conferma, manca poco.

odio, scritto dal giovane cantautore e prodotto dai Room9, parla di dipendenza emotiva, di rapporti disfunzionali disarticolando una narrativa a cui siamo più abituati ascoltando la sua musica, rincorrendo la sua poesia.

Una parentesi più fisica, corporea, erotica e più aggressiva per poi arrivare, nel percorso del disco, a una costruzione diversa e risolta di una relazione dove non ci si sfida, ma si sta a fianco.

EMOZIONATO PER L’USCITA DI “ODIO”?

Sto bene. È bello quando ricomincia tutto il flusso delle uscite. Ci ho messo un po’ a scrivere il disco e l’emozione c’è sempre, per quanto dopo un po’ ci puoi fare l’abitudine. Questo disco e di riflesso questo singolo, raccontano un mio modo di lavorare diverso, perché è la prima volta in cui la geometria di tutto il disco, di tutte le canzoni, nascono completamente di mio pugno.

C’è un’autonomia artistica più grande, ma di conseguenza anche una responsabilità maggiore rispetto al pubblico e rispetto a tutte le dinamiche che sono sempre dietro un’uscita discografica.

Sono curioso di capire come ognuno interpreterà questo momento, questa canzone e che cosa già si aspetta in prospettiva dal disco che uscirà. Voglio capire a che cosa porta in termini di impatto emotivo al mio pubblico.

Ho sempre avuto un pubblico estremamente attento alla narrativa del disco, alla storia del disco e quindi capire poi che cosa aggiunge o se questo tipo di racconto esaudisce le aspettative è curioso, no? È come quando uno scrittore scrive un libro ed è curioso di incontrare i suoi lettori… Ecco, per me è un po’ lo stesso approccio. Quando scrivo un disco voglio capire poi l’ascoltatore che cosa sente.

PERCHÈ SEI PARTITO DA UN SENTIMENTO COSÌ FORTE, L’ODIO, UN SENTIMENTO CHE FA MALE A CHI LO RICEVE MA ANCHE A CHI LO SENTE.

Tutto nasce dal fatto che prima di scrivere un album vado alla ricerca di un concept. Io non sono mai riuscito a fare un disco completamente eterogeneo perché ho sempre bisogno di una tematica che, nel percorso delle canzoni, trova tutta una sua evoluzione, una sorta di storia.

Il disco, senza voler anticipare troppo perché, quando uscirà ci sarà modo di parlarne, si basa e usa come linea narrativa il rapporto a due, non un rapporto a due specifico, ma l’idea proprio dell’intreccio della relazione, del contatto col corpo di qualcun altro, con l’anima di qualcun altro. Questa cosa descrive un bacino d’utenza molto grande. Però il concept reale è più un tema di proiezioni, di metafore, di idealizzazioni, di assurdità nel gioco e così via.

Quando ho pubblicato un disco sono sempre partito dalla parentesi più romantica, dalla traduzione più romantica di quel tipo di narrativa. Questa volta ho voluto cercare di trovare un modo per destrutturare questa routine che mi ero creato a livello artistico. E quindi ho scelto di non partire dalla chiave più romantica e più risolta di quel tipo di emozione, ma partire dal momento più ossessivo.

Cioè, rompere quello schema narrativo e partire proprio dal momento di frenesia, dove le parole non lasciano quasi spazio al fiato, questa verbosità estrema, e capire poi che cosa succede se partiamo da qua per poi arrivare al momento romantico e più intimo. Avevo bisogno di una parentesi che fosse più fisica, più corporea, più erotica e più aggressiva in qualche modo. In questo racconto del disco parlo della disfunzionalità dei rapporti.

Infatti, quando parlo di “ti odio” e quando parlo di “ti amo” sono solo una riflessione ingenua che col senno di poi sono riuscito a capire, erano parole sbagliate. Quello che provavo non era amore, ma era bisogno, era disperazione, era solitudine e quello che sentivo non era odio, era più un senso di colpa interiore di qualcosa di disfunzionale che non riuscivo a gestire. Tutto parte dal concetto di cercare di destrutturare quella formula narrativa su cui sono stato comodo negli ultimi miei lavori e vedere che cosa succede partendo proprio da un’altra prospettiva, per poi arrivare invece al momento di risoluzione.

QUANDO L’ODIO DIVENTA INDIFFERENZA, L’INDIFFERENZA VALE LA PENA FERMARLA CON UN’IMMAGINE OPPURE LA LASCI ANDARE?

Nel disco ci saranno anche riflessioni sull’indifferenza che invece è proprio la negazione completa dell’amore, cioè il fatto che niente più afferisce all’altro, niente più riguarda l’altro.
L’odio è una cosa un pochino più sottile, soprattutto l’odio legato alle relazioni.

Nei rapporti a due quando si insinua la parola “odio” tutto quello che si riesce a raccontare è capire che si tratta di un meccanismo interrotto di una roba disfunzionale.

Credo che in qualche modo riguardi anche un po’ un momento che stiamo vivendo. Il tema della disfunzionalità nei rapporti è un tema molto caldo, e qualcosa significa se, ad esempio, dal 2013 i rapporti disfunzionali sono entrati nelle new addiction per quanto riguarda gli studi psicologici.

Il paragone che faccio sempre un po’ come se ognuno di noi stesse scrivendo il suo più grande kolossal della vita, il suo film di Steven Spielberg e perdesse tanto tempo a scriverlo, a farlo e poi nel momento in cui si affrontano i casting… il ruolo principale è un po’ come se lo dessi al primo che capita. Poi iniziano le riprese del film e ti accorgi che quel ruolo dato a quell’attore era sbagliato, ma il film lo porti a termine, anzi insisti per cercare di trovare un modo di fartelo piacere quell’attore, perché ormai l’hai scelto.

Credo che questa possa essere un po’ la metafora dei rapporti disfunzionali. Abbiamo tutti questo bisogno di affidare a qualcun altro questa sensazione di amore, di appartenere a qualcuno. Il problema è che poi forse perdiamo un po’ meno tempo a fare i casting e quindi capita di affidarlo a qualcuno per una questione di bisogno. È talmente tanto il bisogno di appartenere e appartenersi che è esplosiva questa cosa e quindi la riflessione che faccio sull’odio e sull’amore a questo si riferisce. Io credo che l’amore in generale ti guardi di fianco, quando ti sta di fronte e ti sfida con lo sguardo, allora quello è disfunzionale. Per arrivare a parlare di quell’amore che sta a fianco, prima sono partito dallo sguardo nello sguardo, cioè dal capire che cosa succede quando ti guardi negli occhi e perché è meglio avere qualcuno che guarda nella tua stessa direzione.

QUAL È IL TUO APPROCCIO QUANDO LE CANZONI DIVENTANO DEGLI ALTRI? TU CHE DAI TANTA POTENZA ALLE PAROLE, UN POCHINO TI ALLEGGERISCI DI QUELLE PAROLE E DI QUELL’IMMAGINE O RIMANGONO SEMPRE TUE?

Io non ho quella possessività sulle canzoni, le cose che scrivo raramente le conduco a me. Capisco che una canzone è pronta per essere pubblicata nel momento in cui non ricordo di averla scritta. Se mi chiedi cosa stavo vivendo quando è accaduta quella cosa lì, quando l’ho scritta e non me lo ricordo più, allora vuol dire che non è più mia e che ha una sua indipendenza.

Quando riconosco che le canzoni sono autonome, che non hanno bisogno di essere giustificate dal fatto che le ho scritte io che le canto, allora sono pronte. Non ho mai avuto il timore che fossero degli altri o che potessero poi appartenere a un momento della vita di qualcuno. Anzi, quello è un augurio che mi faccio per le canzoni, cioè il fatto che possano descrivere la vita di qualcun altro, inconsapevolmente. Io parlo e parto da mie esperienze private. Quando la canzone è autonoma vuol dire che quella situazione particolare è riuscita a diventare universale e ognuno ci può mettere la propria dedica, i propri luoghi, i propri sapori, le proprie persone.

IL TITOLO DEL SINGOLO “ODIO” È SCRITTO IN MINUSCOLO, COME A DEPOTENZIARE LA PAROLA. È UNA SCELTA VOLUTA?

È voluta. Essendo questa canzone nata a metà del processo di scrittura del disco ed essendo che questa canzone si siede in un album che è un racconto continuo, non c’è un punto, una ragione per cui quella maiuscola andasse messa. È giusto che tutto il disco venga vissuto come se fosse un flusso di coscienza senza punteggiatura, senza bisogno di capitolare in qualche modo le lettere.

COSA CI PUOI RACCONTARE INVECE DEL DISCO IN USCITA?

Il disco dico sempre che è finito nel senso che è finita la parte di scrittura, cioè le canzoni esistono. Poi c’è tutto il processo che porta alla finalizzazione del disco che riguarda la produzione e l’arrangiamento. La bella copia, chiamiamola così, richiede un po’ di tempo. Adesso avevo bisogno di riconnettermi un po’ con il mio pubblico che è tanto che aspetta, che è tanto che dimostra pazienza. Non sono famoso per pubblicare in maniera abbastanza celere e quindi ci tenevo intanto a creare – e lo dico senza voler sembrare arrogante – un assaggio di quello che sarà il disco.
Manca poco.

MUSICA, TV, CINEMA… ARTISTICAMENTE OGGI COME TI RACCONTI?

Artisticamente è ovvio che il mio occhio va principalmente sulla musica. Perché è il mio sfogo artistico principale, il mio lavoro. So di vivere in più campi e tutti i campi dove vivo vengono vissuti in maniera estremamente rispettosa. Ti faccio un esempio… la parentesi televisiva arriva in un momento in cui mi si dà quella possibilità. Maria De Filippi la conosco da tempo, però poi lavorarci faccia a faccia a casa sua, nel suo mondo, per me è stato un motivo di grande insegnamento. Lei per me rimane la più grande professionista che abbia mai incontrato. La stessa cosa succede nel cinema. Il fatto di poter entrare nella visione creativa ad esempio di Saverio Costanzo, che è uno dei più grandi registi italiani di oggi, è un grande momento e quindi mi piace pensare che il mio lavoro incontra più ambienti da quello televisivo, a quello cinematografico e poi la musica, che invece è il mio campo artistico principale.

Sin da bambino ho sempre odiato il gioco della torre e la domanda “butta giù questo o butti giù quell’altro?” mi mandava sempre in paranoia perché non sapevo mai cosa scegliere.

Il fatto che il mio lavoro nel campo della creatività, che è così vasto e che non ha bisogno di troppi perimetri, mi permetta di navigare dalla TV al cinema, alla musica e comunque trovare una mia omogeneità per me è bello, è un valore. Spero di non dovermi mai trovare a scegliere. La creatività nasce proprio dallo stimolo continuo di qualsiasi cosa. Il cinema influenza la musica, la TV influenza la il cinema, la TV influenza la musica. È una commistione di cose. Il fatto che la parentesi televisiva, ad esempio, mi abbia rimesso in connessione così tanto con quel tipo di fame che hai quando inizi, con quel bisogno di essere ascoltati, è stato un valore aggiunto anche per questo disco e il fatto che il cinema mi abbia insegnato a lasciare il timone di una direzione artistica che spetta giustamente al regista, a qualcun altro che non sia io, sono tutti esercizi di empatia che tornano nella scrittura anche in maniera inconsapevole. Non vedo mai troppe frontiere tra una cosa e l’altra. Il cinema, la tv e la musica sono tutti linguaggi diversi, ma non sono distanti l’uno dall’altro.

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