Jimmy Cliff è morto a 81 anni. È scomparso per una polmonite seguita da un attacco epilettico, come ha annunciato la moglie Latifa Chambers in un post su Instagram.
Autore di inni generazionali come You Can Get It If You Really Want, I Can See Clearly Now e Wonderful World, Beautiful People, Cliff apparteneva a quella ristretta cerchia di artisti capaci di trasformare un linguaggio locale in un patrimonio collettivo. Insignito dell’Ordine al Merito della Giamaica, fu tra i pionieri che traghettarono il dance-island sound fuori dall’isola, conquistando un pubblico trasversale tra Stati Uniti ed Europa.
La sua parabola, dal folgorante debutto cinematografico in The Harder They Come, al ruolo di ambasciatore planetario del reggae, resta una delle più incisive nella storia della musica giamaicana.
Nel corso della carriera vinse due Grammy: nel 1986 per Cliff Hanger e nel 2013 per Rebirth. Il primo ministro giamaicano Andrew Holness lo ha ricordato come “un gigante culturale”, capace di raccontare l’anima del Paese con una sincerità ruvida e luminosa, sostenendo intere generazioni nei momenti difficili.
Il suo mito internazionale esplose nel 1972 con The Harder They Come, film diventato culto e programmato per anni nelle sale americane alle mezzanotte. La colonna sonora ospitava capolavori come Many Rivers to Cross e Sitting in Limbo, brani che ridefinirono la percezione della Giamaica e aprirono una nuova via al racconto musicale dell’isola.
Dopo l’uscita del film, Cliff portò la sua musica in tournée negli Stati Uniti, dove inizialmente trovò critici esitanti, non ancora pronti a comprendere la portata di quel sincretismo sonoro. Oggi quella resistenza sembra quasi archeologia culturale: la sua eredità è scolpita nella storia della musica globale, un ponte tra radici e mondo che continuerà a vibrare ancora a lungo.