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Intervista – MARCO GIUDICI: “Trovarsi soli all’improvviso”, cinque anni di dubbi, ricerca e nuovi inizi
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Intervista – MARCO GIUDICI: “Trovarsi soli all’improvviso”, cinque anni di dubbi, ricerca e nuovi inizi

Marco-Giudici-foto-di-Ludovica-De-Santis-2025

Trovarsi soli all’improvviso” è il nuovo album di Marco Giudici che arriva a distanza di 5 anni da “Stupide cose di enorme importanza”.

Torna con un disco che affronta con coraggio la perdita, in senso letterale e più astratto. La perdita, o meglio il distacco, in tutte le sue varie forme. Il distacco da una persona, quello che si mette da alcune abitudini, la distanza da certi desideri. Lasciare andare alcuni pezzi di sé, che poi forse è l’aspetto più significativo.

Per me scriverlo ha significato iniziare a dialogare con alcune cose della vita che mi spaventavano molto e che forse ora mi spaventano un po’ meno, quello che basta per poterle affrontare.

Nove tracce, di cui due strumentali, che portano l’ascoltatore faccia a faccia con il dolore, la solitudine, la fragilità. E allo stesso tempo la voglia di farcela, la forza della condivisione, il coraggio di cambiare.

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In questa lunga conversazione l’artista racconta la solitudine come punto di partenza, la fascinazione per i timbri imperfetti, il rapporto con la perdita e la scelta di un approccio musicale più fisico e materico. Un dialogo che ricostruisce il lungo percorso che ha portato alla nuova uscita e all’orizzonte live che lo attende.

L’INTERVISTA 

Il nuovo disco arriva dopo cinque anni: una lunga decantazione. Come mai hai lasciato passare così tanto tempo? Cosa è nato in questo periodo e qual è stato il tuo approccio creativo?

È una domanda che apre molte porte. Il mio primo disco è uscito in pieno periodo Covid: non me lo sono potuto vivere, e per me “vivere un disco” significa banalmente portarlo in giro, suonarlo, capire come risuona dentro di me attraverso l’esperienza. Quella fase ti permette di comprendere come i brani si trasformano, che tipo di vita prendono. Non avendo potuto farlo, e con tutto quello che stava accadendo nel mondo, si è creato un momento di forte cambiamento personale.

Ho iniziato a chiedermi perché facessi musica, in che modo la stessi facendo, cosa stessi cercando in questo lavoro. Domande a cui dovevo dare una risposta, perché o affrontavo quel dialogo interiore o semplicemente avrei smesso.

Poi è anche il mio lavoro: ho responsabilità, ma credo che molti abbiano attraversato interrogativi simili. Da lì è arrivata una certa lentezza naturale.

Nel 2022-23 è uscito anche il mio EP “Io cerco per sempre un bivio sicuro”, che poi è stato inglobato nel disco. Lì partivo da musica ambient che stavo producendo per il mio benessere, per riempire i miei spazi. Mi veniva spontaneo scriverci sopra e ho sentito l’esigenza di raccontare quel passaggio.

In più lavoro spesso alla musica degli altri, e ognuno ha il suo turno: non mi considero mai davanti a nessuno. C’è stato ad esempio il disco di Any Other, che ha richiesto molta energia e tempo. Una cosa dopo l’altra, semplicemente, è arrivato il momento della mia musica.

Non credo ci debba essere affanno nella creatività: quando arriva, arriva. Può succedere tra un mese o tra cinque anni. Io vivo la musica anche in modo collettivo, con molto scambio, e questo comporta meno tempo per il mio percorso personale—ma è uno scambio che mi arricchisce più dell’ansia di produrre costantemente.

A livello lirico affronti angoli emotivi complessi: la solitudine, il lutto, il distacco. Cosa hai cercato di raccontare dentro queste tracce?

C’è un senso di solitudine che però è più un punto di partenza che un approdo. Una rielaborazione del distacco, del lutto in senso ampio, non per forza legato alla morte fisica. Sono sentimenti difficili con cui dialogare alla pari: forse è una cosa che ha a che fare con questa fase della mia vita, con la capacità—nuova, ancora in costruzione—di starci dentro.

Per me questi angoli non sono realmente scomodi: sono il modo in cui mi relaziono alle persone che ho a cuore, ai miei amici. Mi accorgo che a volte pesano, e che non tutti vivono queste emozioni con lo stesso grado di apertura. Lo capisco e lo rispetto. Ma per me è naturale parlarne, anzi è un sollievo. Credo che la musica finisca per rispecchiare questo modo di stare al mondo.

Musicalmente c’è una grande ricerca timbrica, anche attraverso strumenti poco usuali. Com’è nato questo lavoro più “organico” sulle sonorità?

Per me non è davvero ricerca: è il mio quotidiano. Mi rendo conto che dall’esterno possa sembrare bizzarro pescare una celesta o un dulcitone e infilarci un distorsore, ma è proprio la mia fascinazione naturale. Mi interessa il timbro degli strumenti fisici, lo spostamento d’aria, il suono che vive in una stanza. Mi dà un senso di organicità immediata.

Mi piace anche l’imperfezione: tocchi qualcosa e succede quello che succede, senza controllo su mille variabili. La sfida è far sedere questi timbri dentro un contesto sonoro che è, in un certo senso, in conflitto con quell’imperfezione. L’effettistica, la post-produzione, servono a mantenere l’identità dello strumento e al tempo stesso integrarlo in uno spazio più “irreale”. È un riassunto della realtà: un dialogo tra verità fisica e trattamento sonoro.

Cosa stai ascoltando in questo periodo? C’è qualcosa che ti ha colpito o che hai riscoperto?

A essere sincero, vengo da un periodo lungo di digiuno da ascolti nuovi. Tornavo spesso su cose che conoscevo già. 

Ultimamente mi muove molto la dimensione testuale, forse perché lavorando tutti i giorni sulla musica sono già immerso in un flusso continuo di input sonori. Mi piace trovare sensazioni musicali che non passano necessariamente dagli strumenti. E sto ascoltando tantissimo il primo disco di D’Andrea: non avrei mai pensato di farlo, ma mi sta affascinando molto.

La copertina: come nasce, chi l’ha realizzata e perché proprio quell’immagine?

Marco-Giudici-Trovarsi-soli-allimprovviso-album-2025

La copertina l’ha fatta Jacopo Lietti, prima di tutto un amico, e poi una persona con cui condivido anche la band Liquami. Negli ultimi due anni siamo stati molto vicini: ho fatto il disco dei Fine Before You Came, la sua band, e lui aveva già realizzato quella di Bivio Sicuro.

Non gli ho dato indicazioni: gli ho solo detto di ascoltare il disco e di seguire ciò che gli sembrava giusto. Un giorno, in macchina, parlando delle sensazioni che gli dava la musica, ha tirato fuori l’immagine di ciò che succede alla vista quando guardi il sole troppo a lungo. Mi si è accesa una lampadina: era esattamente la stessa indicazione che avevo dato al trombonista Federico Fenu per Trovarsi soli. Doveva suonare come se fosse un po’ accecato dal sole, mosso, disorientato.

Quando Jacopo mi ha mandato la prima prova, ho sentito subito qualcosa. Più la guardavo, più mi convinceva. E alla fine ho capito che era quella giusta: un bagliore che lascia un alone negli occhi, proprio come certe emozioni.

E dal vivo? Come immagini la trasposizione del disco sul palco?

Stiamo lavorando per il tour. Dal vivo ho cercato di mantenere una semplicità che nel disco è più nascosta. Tutti gli strati, i processi sonori complessi, non verranno ignorati perché il mio orecchio altrimenti soffre, però ho provato a ridurre le sensazioni a qualcosa di più diretto.

Se c’è un blu, non sarà un azzurrino. Se c’è un rosso, non sarà un rosino. Un gesto chiaro invece che la somma di tanti gesti piccoli. Saremo in quattro: chitarra, basso, batteria e tastiere. Una formazione essenziale, che restituisce il nucleo emotivo dei pezzi. Sul palco con me ci saranno Alessandro Cao e Luca Sguera, più un quarto musicista. Sarà un live semplice, ma molto preciso.

Nella recensione del disco abbiamo scritto: “Marco è un bivio sicuro da ascoltare, un’abitudine di vita, un fondo agli occhi per non trovarsi soli, soli all’improvviso.” È un’immagine che senti tua?

Sì, ci sta. È il mio disco, quindi per forza me ne prendo la responsabilità. Se ci avete visto un mosaico, probabilmente è perché quel mosaico c’è davvero.

LA PRODUZIONE 

La produzione e gli arrangiamenti, in qualche caso anche la scrittura (in un bivio sicuro e addiaccio), sono condivisi con Adele Altro, con cui Giudici conferma uno stretto e collaudato sodalizio artistico e personale.
Le batterie sono di Alessandro Cau, scelto per la lettura e la profondità emotiva del suo modo di suonare; e Nicholas Remondino, voluto per quel suo personalissimo modo di approfondire suoni, di sommare strati, gesti, di portare il tempo in modo fragile e coinvolgente.
Federico Fenu ha suonato il trombone e Fausto Cigarini la viola e il violino.
Le voci dei cori sono di Marta Del Grandi, Cecilia Grandi, Adele Altro, Marco Fracasia, Giulio Stermieri, Alessandro Cau e Nicholas Remondino.

LIVE

Marco, sabato 29 novembre, si esibirà con Adele Altro a FESTIVALINO, in programma questa sera venerdì 28 e domani sabato 29 novembre a Ferrara.

Oltre a lui sul palco Giulia Mei, Juni, Korobu, Citrus Citrus, Carlo Pastore e Elisa Graci sono tra gli ospiti di due giorni di live, talk e showcase
Sulle strade dei festival, che prenderanno vita in due luoghi importanti per l’attività sociale e culturale della città: Officina MECA e il Circolo Arci Bolognesi.

WEB & SOCIAL 

@marcogiudici.it

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