Intervista – ARIELE FRIZZANTE: Karaoke come rituale collettivo”

Intervista – ARIELE FRIZZANTE: Karaoke come rituale collettivo”

Una carriera che ha come filo rosso l’ascolto, con la capacità di dare ritmo al tempo che stiamo vivendo e trovare la chiave per far star bene. Mi piace pensare ad Ariele Frizzante come a un direttore d’orchestra che muove le corde emotive di flussi di persone che hanno voglia di divertirsi, di creare un vero rituale collettivo dove mettersi in gioco senza per forza primeggiare.

Esserci per condividere, tornare a vivere un’esperienza. Un format, quello del suo karaoke, che si trasporta anche in una dimensione per aziende e feste. Con lui nasce un nuovo modo di vivere l’esperienza del karaoke, più legata al mondo del dj-set dove però l’occhio si sposta su chi sta in pista e non in consolle.

  • In questo format speciale di karaoke c’è un’esplosione di energia come se si partecipasse a un concerto. Come gestisci l’energia e il flusso che arriva?

È complicato perché il lavoro fatto sul karaoke devo ammettere che non è un lavoro che ho ipotizzato così in partenza. È iniziato in un altro ‘mondo’ e a un certo punto mi sono accorto di quello che stava succedendo. Giuro, non l’ho fatto scientemente, me ne sono accorto dopo e ho seguito l’energia. Arrivo dal dj set rock, dalla radio rock e quello era il mio mondo. Quasi 10 anni fa, al MI AMI Festival – evento apoteosi della musica indipendente e suonata dove torno anche quest’anno – per la prima volta invece di fare un dj set rock ho pensato di fare una carnevalata… e ho fatto il karaoke. Doveva essere una cosa per la quale, un po’ alla Skiantos, mi aspettavo la verdura tirata sul palco. Metto su ‘Perdere l’amore’, che è una canzone per cui immagini che sia impossibile che possano cantare Massimo Ranieri, non per mancanza o incapacità loro, ma perché di Massimo Ranieri ne nasce uno ogni tot e il pubblico impazzisce e si mette a cantare la canzone. Ti posso garantire che, quando una collinetta del MI AMI Festival si mette a cantare e a intonare Massimo Ranieri, succede una cosa strana e straordinaria. Mi hanno anche spiegato il motivo scientifico legato al fatto che, se si mettono tutti insieme a cantare l’intonazione si livella, anche se di base sei stonato come una campana. Se la canti da solo non ce la fai, se canti in gruppo sì. Lì è successo qualcosa.

  • È cambiato il modo di ascoltare rispetto a quando facevi dj set rock?

È cambiato il modo di ascoltare e di fruire musica. La mia tesi è che la nostra generazione ha visto l’ultima fiammata con i Nirvana, intendo da Elvis Presley in poi. Dopo la nostra generazione, con tutto il rispetto e affetto per le nuove generazioni, quella roba lì non c’è più. Per tornare alla tua domanda, sono passato all’idea di non farli ballare, perché non lo facevano più e ho pensato di farli cantare perché li ho visto attenti a questo aspetto. Dal 2015, da quell’esibizione al MI AMI Festival a oggi è cambiato tutto perché è sempre una questione di fruizione di musica. Nel momento in cui non hai più la musicassetta, il cd, l’lp ma la musica è diventata liquida, ti devi adattare a quella fruizione. La musica è diventata quella roba lì. E quindi anche io, anche se ho fatto fatica a farlo, non sono più un dj in grado di selezionare una canzone bella e che tu ascolterai e che piacerà anche a te. Ho dovuto fare un passo indietro. È come se io fossi diventato un algoritmo umano. Il dj è diventato Spotify. Arrivando dal mondo dei dj, dove lo speaker era preparato più dell’ascoltatore, ero io a dire cosa doveva fare l’altro, ma nel momento in cui la musica è diventata liquida, la cosa mi è un po’ scivolata di mano e ho capito che non potevo sapere cosa ascoltavano gli altri. Da lì il mio orecchio è cambiato. Ti dico un altro passaggio difficilissimo. Quando segnalano qualcosa di nuovo, il dj non può più pensare se quella cosa è bella o brutta, non lo deve interessare. Quella cosa funziona e sta girando. Punto. Poi il flusso lo sposti tu, nel senso che puoi decidere se quella cosa la selezioni o meno, ma devi sapere che se quei numeri ce li ha e tu la metti, la serata sta in piedi. Perché il dj deve guardare cosa ha davanti e cosa funziona per le persone.

  • E quando vedi che si abbassa il tono, come li ricarichi?

In quello ritorna il mio mestiere di dj. Quando la pista si svuota metti il famoso riempipista. Nel momento in cui la musica è diventata liquida ed è diventata mista, il riempipista può essere un classico intramontabile e intergenerazionale come ‘Sarà perché ti amo’, o può essere una super novità, ma attenzione… la super novità durerà, è matematico, al massimo tre settimane. Qualche canzone nuova bella l’annata se la fa. Nel mio lavoro, quindi, ho un archivio di brani classici che restano lì e di brani nuovi che continuano a roteare in maniera impressionante.

  • Questa durata di poche settimane un po’ racconta il modo di fruire e di ascoltare oggi e forse di un’educazione musicale diversa?

Non bisogna cadere nel tranello di capire se questa cosa è bella o brutta, se ci piace o non ci piace, se è per me o non è per me… è così. Il mondo si è spostato di là in qualcosa un po’ più di sterile. Ci tengo però a dire che, quando do questi giudizi o queste letture, non lo faccio pensando che è un mondo più brutto di prima, lo faccio pensando che è diverso da prima. Ti dico questa cosa che penso sul dj set da “boomer”. Quando vedo i giovani che guardano e vedo che a loro piace quello che faccio, so che loro non potranno mai avere – e non so neanche se servirà – un pezzo di esperienza da club e discoteca che ho fatto. Il riempipista l’ho imparato facendolo… oggi questa cosa non la puoi imparare, di base perché le discoteche non esistono più e tutta quella fruizione non esiste più. A volte faccio un po’ fatica a spiegare che, quando seleziono la musica oggi, non metto per forza cose che mi piacciono. Io a casa ascolto altro, ma ci siamo spostati dal dj che fa ascoltare canzoni che ama lui al dj che fa ascoltare canzoni che amano gli altri. Se ai giovani dico che metto su una canzone che non mi piace, ma è il mio lavoro, non mi capiscono. Mi chiedono perché non metto le mie passioni, ma le mie passioni sono diverse e non mi interessa neanche imporle, perché è una roba di fine anni 90. Ai ragazzi dico di farsi il vostro viaggio.

  • Per chi è il karaoke?

Il karaoke è per le ragazze, tanto che ormai da mesi quando saluto il pubblico dico ‘ciao ragazze’ e non parlo neanche ai ragazzi. Le ragazze sono più intonate, più sensibili, capiscono di più quello che sto facendo. Non si mettono a saltare e a fare cori da stadio che non c’entra niente con la serata. Faccio parte di un’altra generazione e non posso fare nient’altro, quello è il mestiere che ho imparato e che faccio. Io non vedo l’ora che arrivi un ragazzo che mi bagni il naso… Quando finisco le serate con i ragazzi sotto i venticinque o trent’anni, ogni tanto dico che se alla loro età avessi partecipato a una serata con un quasi cinquantenne che mi metteva Raffaella Carrà… ma sai cosa gli facevo io? Sai come mi sarei sentito io? È un mondo diverso oggi, dove un ragazzo di trent’anni anni se ha un dj di cinquanta che gli mette Raffaella Carrà è contento.

  • Funziona come ai concerti e il cellulare è rivolto verso sé stessi?

Un po’ meno, ma un po’ funziona così come ormai nella vita e non solo ai concerti. Certo che si filmano mentre fanno i balletti e ogni tanto cercano anche di passarmi il cellulare, ma lì dico no. È questa la narrazione di adesso. Come fai a risolvere questa cosa? Togli loro il telefonino? Il problema è riguardare il tutto da un altro punto di vista. Il mondo digitale ci mette per la prima volta di fronte a macchine e algoritmi per cui non gliene frega niente della nostra esperienza.

  • Musica da ascoltare e musica per lasciarsi andare. Quando capisci che c’è quel passaggio?

Si lasciano andare al primo bicchiere di vino, come è sempre stato. Se è un posto dove non vado ciclicamente e quindi ci si scopre durante la serata, ho bisogno di quella mezzoretta per fargli capire le regole del gioco e che non li giudicherò. La cosa importante della formula che uso io rispetto a quella classica, è far capire che non è un karaoke normale. Non ci sarà una persona a chiedere una canzone sulla quale cercherà di fare bella figura, ma si deve partecipare al gioco collettivo dove partecipiamo tutti quanti. Uno dei trucchi che uso è avere più microfoni. Do quattro microfoni aperti, in quel modo nessuno potrà mai mettersi a fare Giorgia da solo perché avrà sempre qualcuno vicino che canterà peggio di lei o di lui. È matematico. Per cui quello che canta bene si innervosirà tantissimo, ma il mio gioco è di tenere più voci possibili, non chi la canta meglio o peggio, perché quello è il meccanismo che rompe il karaoke. Quello che propongo è esattamente l’opposto del karaoke. Se sono in dieci e cantano malino, la portiamo a casa la canzone. Rarissimamente succede che qualche ragazza, più che ragazzi, sia effettivamente talentuosa e se a un certo punto la sta cantando veramente bene, spengo gli altri microfoni e lascio il momento solo per lei. Però li lascio andare solo in quel momento lì, dove il talento ritorna a quello che è, un qualcosa che è distribuito in maniera parsimonioso e che, se troviamo, apprezziamo. Ma il mio non è un talent show dove il talento deve esserci per forza.

  • Selezione canzoni che non per forza ti piacciono. Nonostante questa distanza che crei rispetto a quello che ascolti tu, ti diverti?

Me lo chiedo spesso. Nel senso che la mia battuta di base è sempre quella sul perché dovrei divertirmi, sto lavorando. Dopodiché se guardo l’altro aspetto del lavoro che è quella capacità, quella professionalità, quell’esperienza accumulata nel portare a casa sempre la serata e dire ok, si sono divertiti e ho fatto il servizio giusto, quello per me è molto interessante. Mi succedeva anche quando suonavo con una band. Ho sempre più bei ricordi dei concerti sfortunatissimi, quelli dove non c’era nessuno e la dovevi portare a casa la serata, che non quelli dove c’era una marea di gente e facevo la serata perché andava bene.

  • Dopo Sanremo, quali canzoni entrano nel tuo karaoke?

La domanda interessante è capire quanto durano le canzoni di Sanremo nel mio karaoke. ‘La noia’ di Annalisa Mango, che in molti dicono che è più da ballare che da cantare, che per me è sbagliato come presupposto, secondo me la perdiamo prima delle altre. Mahmood ha centrato anche questa canzone come quella dei The Colors a cui non puoi dir niente perché hanno fatto una canzone perfetta e poi negli ultimi due anni devo dirti che vivo di Annalisa. Io di lei ho quattro riempipista che non riesco a fare neanche con i classici. Tornando a un’esibizione di questo Sanremo ‘La rondine’ di Mango la settimana dopo Sanremo me l’hanno chiesta in cinque, dopo la seconda settimana è tornata nella casella dove stava prima.

  • Sono quindi onde musicali?

C’è un’attenzione che ti tira lì e poi te la dimentichi immediatamente. Come l’annosa questione della strofa e del ritornello. Io non modifico mai il tempo delle canzoni che invece i dj fanno. Non lo faccio perché cerco di mantenere una radice altrimenti mi perdo. Per me se una canzone ha quel tempo e ha quella durata, quella devi mettere. In questi anni di adattamento, ho dovuto invece cedere anche io e molti – soprattutto i classici – li faccio partire dal ritornello perché, se no non ci arrivo. L’esempio è ‘Tintarella di Luna’, che ha una intro che il pubblico non ricorda. Se tu la fai partire dall’inizio, che è un punto dove non la ricordano, li perdi. Non è più quel dj con cui inizia a ballare e poi ti fidi. Questa fiducia si è persa e sento che devo continuamente riprenderli perché altrimenti li perdo. La fruizione è quella. Anche le canzoni di Sanremo le faccio partire dal ritornello. Se parte la strofa hai bisogno di trenta secondi per arrivare là e la gente quei trenta secondi non te li concede più.

  • Io ho trovato il Festival di Sanremo molto stile Festivalbar.

Dipende sempre con chi stai parlando di Sanremo. Io e te facciamo parte di una generazione freak per cui Sanremo è il nemico e io da questa cosa non cederò mai. Ed è la stessa domanda che faccio a un ragazzo di venticinque anni, se veramente gli piace Sanremo. In tanti anni ho scoperto una cosa importante che non serve guardare tutta la sera, ma basta al mattino quando ti svegli un quarto d’ora per leggere gli articoli e guardare cosa hanno pubblicato su youtube per sentirsi preparatissimo.

Il Karaoke sarà anche con le canzoni dell’Eurovision?

L’Eurovision fa ridere e lo seguivo un po’ di più perché negli anni c’erano anche le band metal svedesi e mi prendeva perché il gioco era carino. Il format del karaoke si adatta a come stanno fruendo la musica oggi i ragazzi, per cui può stare anche quella musica lì.

  • Il tuo karaoke ha anche una componente di musica live.

Mi accompagna nelle serate Elton Novara, chitarrista talentuosissimo. Al mio servizio è costretto a seguire con la chitarra elettrica le mie canzoni. Anche questo aspetto fa parte del desiderio di voler dare un messaggio positivo. Lo so che il dj set con la chitarra elettrica o senza è più o meno la stessa cosa, però quando a un certo punto posso fare ‘Bohemian Rhapsody’ dei Queen e posso far fare a lui l’assolo – che fa davvero ma il 50% delle persone presenti non lo capisce – quella presenza mi permette di riguardare le radici dalle quali arrivo e mi autorizza di portare a casa la notte e dormire sogni sereni. Con lui effettivamente mettiamo questo spirito rock, chitarra vera, che serve a me e serve a condividere questo momento di musica live.

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