A trent’anni dalla sua prima apparizione, “The Beatles Anthology” riemerge come un corpo vivo, rimodellato e riaccordato al presente.
Non è una semplice operazione di restauro: è un riesame radicale del mito, ricomposto con la tecnologia contemporanea e con una consapevolezza quasi museale del proprio peso storico. All’epoca, gli otto episodi della docuserie inaugurarono un nuovo canone: niente narratore esterno, nessun filtro didascalico. Erano John, Paul, George e Ringo a raccontare se stessi, con quella miscela di fragilità, ironia e contraddizioni che solo l’autobiografia involontaria sa generare.
Oggi, la serie torna espansa, restaurata, ricalibrata, con un nono episodio inedito che sembra più un frammento ritrovato di un manoscritto che un contenuto aggiunto. Dal 26 novembre su Disney+, la versione definitiva dell’Anthology porta la firma tecnica di Park Road Post, la casa di post-produzione di Peter Jackson, che continua la sua esplorazione quasi archeologica del materiale beatlesiano. Filmati mai visti, dialoghi dimenticati, appunti visivi sul lavoro dei tre Beatles superstiti durante la creazione del progetto negli anni ’90: tutto converge in un mosaico che non vuole “completare” la storia, ma rimetterla in circolazione.
Il viaggio resta quello che conosciamo: i primi anni pieni di fame e insicurezza, il crollo vertiginoso nella Beatlemania, la disintegrazione progressiva, gli scarti umani che emergono quando la storia della musica decide di fare il suo giro più imprevedibile. Ma vederli e sentirli oggi restituisce una vibrazione diversa: non più la nostalgia, ma una specie di lucidità retroattiva sulla meccanica di un fenomeno che continua a produrre eco.
La musica: Anthology si espande, respira, aggiunge un nuovo capitolo
A fianco della serie, la parte musicale dell’Anthology torna in quattro volumi – 12 LP, 8 CD – con una cura sonora che aggiorna quella originaria di George Martin attraverso la sensibilità, e l’orecchio chirurgico, di Giles Martin. I tre dischi del progetto originale avevano già spalancato l’officina dei Beatles: nastri incompiuti, versioni embrionali, intuizioni lasciate lì come incidenti felici.
Anthology 4 porta questo processo ancora più in profondità: 13 demo inedite, session rarissime, materiali borderline che illuminano il dietro le quinte della costruzione del mito. Tornano anche Free As a Bird e Real Love, rinvigorite dal lavoro di Jeff Lynne, che recupera la voce di John Lennon partendo da demo casalinghe degli anni ’70. E naturalmente non manca Now And Then, l’ultimo brano firmato Beatles che nel 2023 ha riportato la band al primo posto nelle classifiche britanniche: un paradosso temporale che solo un archivio vivo può produrre.
Il libro: l’Anthology come memoria materiale
A chiudere il cerchio, la nuova edizione del libro The Beatles Anthology, pubblicata per il 25° anniversario: 368 pagine, oltre 1.300 immagini, testimonianze dirette e indirette. La forza del volume non sta nell’agiografia, ma nell’assoluta mancanza di difesa: Lennon, McCartney, Harrison e Starr scolpiscono la loro storia senza volontà di autoassoluzione, accompagnati dalle voci laterali di Neil Aspinall, George Martin, Derek Taylor e altri testimoni ravvicinati, capaci di illuminare zone che la mitologia pop tende a levigare.
Il mito si conserva solo se continua a mutare. I Beatles, ancora una volta, lo hanno capito prima di tutti.
