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Intervista – FRAH QUINTALE: “Amor Proprio” è la somma di un viaggio

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Nella musica di Frah Quintale c’è sempre stato qualcosa di sospeso. Una malinconia che non è tristezza, ma lucidità: la capacità di guardarsi dentro senza paura di quello che si trova.

Con “Amor Proprio”, il suo nuovo album, quella sensibilità diventa maturità. È un disco che parla di equilibrio, di relazioni, di identità, ma soprattutto di tempo — quello che serve per capirsi, per perdonarsi, per ricominciare. Frah lo racconta con la leggerezza che lo contraddistingue e con la sincerità di chi ha imparato a mettere ordine nei propri pensieri, anche quando fanno rumore.

Un dialogo che attraversa musica e vita, tra ironia e introspezione, in cui l’artista bresciano si mostra per quello che è: un cantautore che continua a crescere senza smettere di cercarsi.

L’INTERVISTA 

Spesso cerchiamo la via più breve per ottenere la felicità, per guarire una ferita dell’anima, per colmare un vuoto, per sentirci allineati agli altri.

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Alcuni per esempio studiano facoltà che in verità non gli piacciono, altri ancora invece saltano da una relazione all’altra pur di non rimanere soli, per interesse, per abitudine, per distrazione o semplicemente perché qualcuno ha detto loro che si fa così.

Senza essere ipocrita, mi sono ritrovato almeno una volta in una di queste tre categorie (ce ne sono molte altre) ma poi è successo qualcosa. Stare da solo mi ha insegnato a stare in silenzio, stare in silenzio mi ha insegnato ad ascoltarmi, ascoltarmi mi ha fatto capire meglio cosa voglio.

Per quanto mi riguarda, l’amor proprio è fare qualcosa per sé stessi indipendentemente da quello che il mondo si aspetta da noi, è un processo al quale serve tempo per instaurarsi, crescere e indirizzarci verso le persone che saremo. Una volta imparato a lasciarci trasportare, potremo andare esattamente dove vogliamo e le cose succederanno da sole, quasi per caso. Abbiamo tutti gli strumenti necessari per aggiustarci.»

Il fil rouge del disco sembra essere la ricostruzione di sé, sviluppata in tappe diverse. “Amor Proprio” è la punta dell’iceberg di questo percorso?

Sì, direi di sì. “Amor Proprio” è la somma di un viaggio che va avanti da diversi anni, direi da tre o quattro, e che coincide con il momento in cui ho iniziato a scrivere il disco. È un disco che fotografa una fase precisa, ma anche un continuo movimento: dentro c’è tutto ciò che fa parte di un processo di crescita, di accettazione, di ricostruzione.
Ci sono relazioni amorose, amicizie, sogni, ambizioni, ma anche la distanza, la perdita, la sensazione di non appartenere più a un luogo.
Racconto il momento in cui decidi di lasciar andare, o di trattenere, o di fare un passo indietro perché capisci che qualcosa non può più funzionare. In questo senso, l’amor proprio non è un gesto di vanità o egoismo, ma una forma di cura. È l’atto di capire dove sei, chi vuoi essere e con chi vuoi davvero condividere quel percorso.

Tra le canzoni, “Chiodi” sembra una delle più personali. È anche la tua preferita?

E’ sicuramente una delle mie preferite, forse quella che mi rappresenta di più in questo momento. È un brano che nasce da un sentimento forte, ma che non parla solo di rabbia o rancore: parla di accettazione, di consapevolezza.
In un certo senso è legata anche a Milano, perché racconta la storia di chi parte e di chi resta. È un tema molto attuale: tutti conosciamo qualcuno che se n’è andato per inseguire un sogno o per cercare un futuro altrove. Io stesso, ormai più di dieci anni fa, ho lasciato Brescia per venire a Milano e provare a fare musica. Oggi sembra normale, ma nel 2013 non lo era affatto, soprattutto in una città come Brescia, dove l’idea di “vivere d’arte” non era considerata una strada concreta.
Con questo pezzo ho voluto raccontare il punto di vista di chi rimane. Quando ami qualcuno, a volte devi lasciarlo andare, anche se ti fa male. Credo che lasciar andare, in certi casi, sia una forma d’amore più grande che trattenere. Mi piace molto il passaggio in cui parlo della “sindrome dell’abbandono”, perché è qualcosa che ho provato anch’io, e scrivere questa canzone mi ha aiutato a mettere ordine, a capire delle cose, a fare pace con me stesso. È uno di quei pezzi che senti di aver scritto anche per guarire un po’.

Dopo quasi dieci anni a Milano, che bilancio fai? È ancora una città che ispira gli artisti?

Direi di sì, anche se oggi è diventata una città complessa da vivere. Milano ti può dare tanto, ma chiede anche tanto. Io ho avuto la fortuna di arrivare in un momento in cui c’era più spazio per respirare, sia economicamente che artisticamente. Oggi, con i prezzi e gli affitti alle stelle, per molti è difficile anche solo restare.
Più che “ispirare”, Milano connette. È una città che ti mette in contatto con persone, progetti, energie. Ti spinge a muoverti, a uscire dalla tua zona di comfort, a confrontarti. Ogni città ha una sua frequenza, e quella di Milano è fortissima: è come una trasmittente che amplifica ciò che succede qui e lo fa risuonare in tutta Italia.
Un progetto nato e cresciuto a Milano ha inevitabilmente più eco di uno che resta chiuso in provincia, anche se oggi — grazie ai social e alla rete — le distanze si sono accorciate. Quando sono arrivato io, nel 2014 o 2015, era diverso: c’era un fermento nuovo, si stava formando quella scena “indie-pop” che poi sarebbe esplosa. E in qualche modo Milano è stata la culla di tutto questo.

Nel disco ci sono diversi featuring: Joan Thiele, Colapesce, Tony Boy… Tutti diversi tra loro, ma in equilibrio. Come sono nate queste collaborazioni?

Ogni collaborazione ha la sua storia, ma se devo trovare un filo comune direi che è umano prima ancora che artistico.
Con Joan avevo questo sample che mi riportava alle colonne sonore, a un mondo cinematografico che sentivo molto vicino a lei, sia per il tipo di voce che per la sua sensibilità. È venuta fuori in modo naturale.
Con Colapesce invece ci conoscevamo già. Abbiamo parlato tante volte di musica e condividiamo un certo modo di intendere la scrittura: anche se veniamo da percorsi diversi, entrambi abbiamo una vena cantautorale forte. Negli ultimi anni poi mi è capitato spesso di andare a Ortigia, la sua terra, quindi c’era anche un legame più personale.
Tony Boy lo conosco da tanto: l’ho visto crescere, sia come artista che come persona. Quando è arrivato a Milano era giovanissimo, vent’anni forse. L’ho sempre considerato una delle penne più sincere della sua generazione. In un brano che parla di confusione, di ansia da prestazione e di identità, mi sembrava la voce perfetta per rappresentare quella prospettiva.
In generale, per me le collaborazioni non devono essere scelte “di marketing”. Devono nascere da un dialogo vero, da una connessione, da una stima reciproca. In Amor Proprio tutte le collaborazioni sono nate così, in modo naturale.

Hai sempre avuto una parte visiva molto forte. Il quadro della copertina, ad esempio, è tuo. Come si intrecciano pittura e musica nel tuo percorso?

In realtà io sono arrivato alla musica proprio attraverso la pittura. Da ragazzino dipingevo, facevo graffiti, e da lì ho scoperto il mondo dell’hip hop, del rap anni Novanta, della controcultura. Sono due linguaggi diversi ma con lo stesso obiettivo: esprimere quello che hai dentro, dare forma a qualcosa che ti attraversa.
La cover di “Amor Proprio” è uno scatto di Sha Ribeiro. Il quadro è nato quasi per caso. Stavo dipingendo senza un’intenzione precisa, e intanto scrivevo i pezzi del disco. A un certo punto ho iniziato a vedere un parallelismo fortissimo tra ciò che stavo dipingendo — una cassetta degli attrezzi — e i temi che emergevano nelle canzoni. La cassetta rappresenta il modo in cui proviamo ad “aggiustarci”: a capire quali strumenti usare per rimetterci insieme, per guarire, per andare avanti. Alla fine, le due cose si sono fuse: la pittura e la musica hanno chiuso un cerchio, anche estetico.
Per me è importante che il progetto abbia una coerenza visiva. Dove non arrivano le parole, possono arrivare le immagini. E quando ho dipinto i palazzetti per annunciare il tour, tanti mi hanno scritto dicendo che era una cosa controcorrente, in un’epoca dove tutto è digitale e immediato. Ma per me è semplicemente naturale. Ho sempre avuto questa parte dentro di me, anche ai tempi dei Fratelli Quintale: mi occupavo spesso della direzione artistica, dei visual, delle copertine. È un linguaggio che mi appartiene tanto quanto la musica. 

A proposito di tour: ad aprile parti dai palazzetti. Milano sarà la prima tappa. È l’ambiente giusto per presentare questo nuovo capitolo?

Credo di sì. Dipende sempre da che tipo di spettacolo porti: io non sono da grandi effetti o fuochi d’artificio, mi interessa di più creare un’atmosfera, far arrivare il mio mondo visivo e sonoro anche in spazi grandi.
Il palazzetto, se ci pensi, è un luogo che può contenere intimità, se lo costruisci nel modo giusto. Ho visto Bon Iver al Forum: dodicimila persone, ma un’atmosfera intima, quasi sospesa. È lì che capisci che non è la grandezza del posto a fare la differenza, ma la cura con cui pensi lo show.
Credo che oggi la sfida per chi fa musica sia proprio questa: portare autenticità anche in spazi che sembrano troppo grandi per accoglierla. Per me sarà l’occasione per unire tutto quello che sono — la musica, l’arte visiva, l’estetica — e costruire qualcosa di coerente e personale.

Non è la tua prima volta su un palco così grande, vero?

No, infatti. Avevo già suonato nei palazzetti durante il tour di Lovebites con Coez. Quella è stata una palestra, mi ha dato consapevolezza di cosa significa gestire spazi e tempi così ampi. Stavolta, però, sarà diverso: sarà “mio”, al cento per cento.

Un ricordo live è quello di quando ho cantato “Oroscopo” con Calcutta al Forum. Era il mio primo palazzetto, il mio battesimo di fuoco. Ogni sera Edoardo invitava un ospite diverso per la prima strofa, e quella volta toccò a me. È un ricordo che porto con grande affetto, uno di quei momenti in cui capisci che la musica può portarti davvero ovunque.

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VIDEO 

IL TOUR 

13 aprile 2026 – Milano, Unipol Forum
15 aprile 2026 – Firenze, Nelson Mandela Forum
17 aprile 2026 – Roma, Palazzo dello Sport
18 aprile 2026 – Napoli, Palapartenope
20 aprile 2026 – Padova, Kioene Arena
21 aprile 2026 – Torino, Inalpi Arena

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