Robert Plant non ha mai smesso di sorprendere. A settantasette anni, invece di cercare l’ennesimo revival zep-peliano, sceglie la strada più spiazzante: un album che rinuncia al clamore per farsi intimo, corale, quasi fragile.
“Saving Grace” è un titolo che suona come un manifesto: un lavoro nato lentamente, tra il 2019 e il 2025, inciso con una band che non porta solo il suo nome, ma condivide con lui l’idea di musica come dialogo, non come celebrazione solitaria.
Il primo album con una nuova band di illustri musicisti, che lui definisce “un libro di canzoni perdute e ritrovate”.
La genesi di Saving Grace è iniziata durante il lockdown nella “Contea”, quando il consueto vagabondaggio di Plant era praticamente proibito.
Ridiamo molto, davvero. Credo che mi si addica. Mi piace ridere” dice Plant. “Sai, non riesco a trovare un motivo per essere troppo serio su nulla. Non sono annoiato. La dolcezza dell’intera faccenda… Sono persone dolci e stanno tirando fuori tutto ciò che prima non riuscivano a esprimere. Sono diventati musicisti dallo stile unico e insieme sembrano essere approdati in un posto davvero interessante.”
LE RECENSIONI
I critici sono concordi: si tratta di un disco che lavora “per sottrazione”. La voce di Plant non esplode, non si impone, ma si fa più misurata, scavata, a tratti malinconica. In questo registro ridotto, la sua interpretazione acquista un peso nuovo: ogni frase diventa più credibile, ogni inflessione più significativa. Non è un caso che molte recensioni, da MOJO a Far Out Magazine, abbiano sottolineato la sincerità del progetto, la sua capacità di “suonare naturale”, come se queste canzoni fossero nate in un fienile piuttosto che in studio.
Il repertorio è fatto di cover e rivisitazioni: brani blues, folk, alt-country, persino incursioni nel repertorio più contemporaneo, come l’intensa versione di “Everybody’s Song” dei Low.
Il risultato non è un collage, ma una tessitura sottile, in cui Suzi Dian offre una seconda voce limpida e avvolgente, e la band accompagna con discrezione e intelligenza. Plant non è più il frontman titanico, ma il custode di un racconto corale.
Le recensioni parlano di un album elegante, pieno di grazia, ma non senza tensione. C’è chi ha apprezzato i momenti più energici, in cui riaffiora il worldbeat delle passate avventure soliste, e chi invece ha trovato la delicatezza di certi passaggi quasi eccessiva, rischiando di attenuare il pathos. È un lavoro che non cerca il consenso facile: per chi sogna ancora gli acuti di “Immigrant Song” potrebbe risultare spiazzante, persino troppo sobrio. Ma per chi ascolta senza pregiudizi, Saving Grace è un disco di rara intensità.
Il punto, forse, è proprio questo: Plant non insegue il mito di se stesso, ma sceglie di mettersi a servizio delle canzoni, con un’umiltà che a quell’altezza di carriera è quasi rivoluzionaria. Non è più l’epico narratore delle saghe hard rock, ma un artigiano della voce che si confronta con materiali antichi e moderni, riplasmati con cura.
Saving Grace è un album che chiede attenzione, tempo, ascolto lento. Non regala facili esplosioni, ma momenti di sospensione, aperture di luce, intrecci delicati di voci e strumenti. È la dimostrazione che un artista può reinventarsi ancora, se sa spogliarsi dell’ego e tornare all’essenziale. Robert Plant, oggi, non urla più: sussurra. E in quel sussurro c’è tutta la forza di chi ha attraversato la storia del rock e ne esce con la leggerezza di una grazia ritrovata.
LA TRACKLIST

Chevrolet
As I Roved Out
It’s A Beautiful Day Today
Soul Of A Man
Ticket Taker
I Never Will Marry
Higher Rock
Too Far From You
Everybody’s Song
Gospel Plough
WEB & SOCIAL
https://www.instagram.com/robertplantofficial/
https://www.robertplant.com