CAPAREZZA: questo disco vuole essere una fuga dalla mia “Exuvia”

CAPAREZZA: questo disco vuole essere una fuga dalla mia “Exuvia”

Esce “EXUVIA” il nuovo disco di Caparezza, a quattro anni di distanza da “Prisoner 709”, il suo ottavo disco in studio. 

Ancora una volta l’artista fa un viaggio introspettivo dentro di se. Un disco, colto, pensato e pieno di citazione  che rappresenta un po’ il seguito di “Prisoner 709”.

L’abbiamo incontrato oggi durante la presentazione virtuale con la stampa durante la quale ha anche offerto ai giornalisti (verrà messa a disposizione di tutti) una esperienza virtuale. Un percorso sonoro e raccontato all’interno di una foresta virtuale in 3D dove Caparezza racconta e ci accompagna attraverso  tutto la concettualità del nuovo disco. 

L’exuvia è la muta dell’insetto, ovvero ciò che rimane del suo corpo dopo aver sviluppato un cambiamento. Da pugliese (e da musicista) quando penso all’exuvia mi viene subito in mente quella della cicala perché l’ho vista personalmente e ne sono rimasto impressionato.

Si tratta di un calco perfetto, talmente preciso nei dettagli da sembrare una scultura, una specie di custodia trasparente che prima ospitava un essere vivente e che adesso se ne sta immobile lì, aggrappata alla corteccia di un tronco, simulacro di una fase ormai passata. Quando osservo i miei video, quando ascolto le mie canzoni e quando rileggo i miei testi penso sempre che non mi appartengano più, come un’exuvia. Persino la realtà che mi circonda mi appare immobile, senza anima, cristallizzata nel tempo.

Con questo disco sono entrato nella mia “sconfort” zone.
La musica per me è un opera e un disco deve avere sempre un senso dove le varie canzoni rappresentano il compimento dell’opera nel suo complesso. 

Cosa c’entra Fellini?

Ho iniziato la stesura dei brani di questo album dopo aver letto “Il viaggio di G. Mastorna”, sceneggiatura di un film che Fellini non ha mai realizzato. Il libro racconta un aldilà in cui regna disordine e confusione, un limbo caotico senza scampo. Il protagonista, Mastorna, non capisce di essere morto o quantomeno non lo accetta, e questo gli rende insopportabile la nuova condizione di anima (in pena).

Io sto vivendo una sensazione simile perché molte cose intorno a me hanno subito cambiamenti drastici, o semplicemente perché sono cambiato io e non voglio ammetterlo. Inoltre da qualche anno mi sento come Guido Anselmi, il protagonista di 8 e 1/2, regista quarantenne, svogliato, cullato dai suoi tormenti interiori, alle prese con un’opera che non riesce o che non vuole concludere, costantemente seduto vicino alla porta d’uscita ma mai pronto a varcarne la soglia.

Il rito di passaggio

E allora questo disco vuole essere una fuga dalla mia exuvia, una sorta di iniziazione alla vita in una forma diversa.

E’ la celebrazione del rito di passaggio, come accade nelle tribù indigene quando un individuo passa dalla fase giovanile a quella adulta affrontando rituali che prevedono prove di resistenza atroci. Il mio rito di passaggio è stato immaginare un viaggio espiatorio nella foresta.

La foresta

Il mio disco precedente (Prisoners 709) era ambientato in una prigione (mentale) e si concludeva con la mia evasione. Il nuovo album parte da quel momento: la prigione è alle mie spalle e la foresta è davanti a me, pronta ad accogliermi. Da sempre la foresta è un luogo di ispirazione letteraria basti pensare al bosco di Charles Perrault o alla selva oscura di Dante Alighieri. Meravigliosa di giorno e terrificante di notte, è un luogo dove perdersi e ritrovarsi, ed è qui che si svolge la mia avventura. Ogni brano è una riflessione sul mio passato, sul mio presente e sul mio futuro e racconta i miei passi avanti, i miei passi falsi, i miei passi indietro.

Il simbolo

Sulla copertina c’è un simbolo che rappresenta il passaggio da una condizione attuale (cerchio grande) ad una futura (cerchio piccolo) attraverso una serie di spirali (simbolo di morte e rinascita in gran parte delle culture del pianeta).

IL DISCO TRACCIA PER TRACCIA 

CANTHOLOGY feat. Matthew Marcantonio “Things are scattered everywhere, no one seems to care, they’re trying to get somewhere, get away!”

Questo brano è concepito come se fosse il lungo intro all’inizio del mio viaggio nella selva. In questa canzone regna il caos, tutti gli elementi e i personaggi dei miei 7 dischi precedenti mi si rivoltano contro, tormentandomi come in un brutto sogno.

Tutto ciò che ho scritto fin ora sembra agire al di fuori della mia volontà: Van Gogh vuole sotterrarmi, Galileo mi contesta durante una premiazione e Michael Jackson mi dà impunemente dell’idiota. Il ritornello cantato da Matthew Marcantonio (leader dei Demob Happy, uno delle mie rock band preferite) è tratto da un vecchio brano dei Droogs e recita:”Le cose sono sparpagliate ovunque, a nessuno sembra importare, stanno cercando di andare da qualche parte, scappa via!”

FUGADA’

“In fuga dal mio disco precedente, da chi dice “Ti capisco”, invece mente”

Una voce femminile (che rappresenta la vita e la morte e che allo stesso tempo è il richiamo della selva) mi invita nel ventre della foresta. Il percorso inizia con una corsa a perdifiato (essendo appena evaso dalla mia prigione).

Questa traccia è un elogio della fuga, non è un caso che inizi con alcuni versi di Dino Campana, il poeta fuggiasco di Marradi.

UNA VOCE (SKIT)

EL SENDERO feat. Mishel Domenssain

“Camina, guerrero camina, por el sendero del dolor y la alegria”

Ho la sensazione che la vita di mio nonno e di mio padre siano più degne della mia.

Mi sembra di aver ottenuto tutto ciò che cercavo ma di non aver vissuto veramente. Cosa posso fare per dare valore alla mia vita? Ancora una volta è una voce di donna a venire in mio aiuto. In questo caso si tratta di Mishel Domenssain, artista messicana,autrice di un brano intitolato “La selva”, la cui strofa è diventata il ritornello di questo pezzo. Ho scoperto Mishel durante le mie ricerche su Spotify e sono rimasto stregato dalla sua canzone, un invito a camminare lungo il sentiero del dolore e dell’allegria, un messaggio contrapposto a quello di Fugadà.

CAMPIONE DEI NOVANTA

“Sai, a volte il traguardo comincia da un passo falso”

Prima di darmi definitivamente in pasto alla giungla decido di guardarmi indietro, di focalizzare le mie orme e il percorso che mi ha portato fin qui.

Un percorso che non può prescindere dalla mia esperienza come Mikimix, forse l’exuvia più plateale della mia vita artistica. Ogni tanto ho accennato a questo periodo pop-rap ma non l’ho mai affrontato di petto in una traccia. Per molto tempo mi sono vergognato di Mikimix. Ora ho fatto pace col passato, questo ragazzo di vent’anni mi fa solo una gran tenerezza e, sinceramente, sono contento che faccia parte del mio tragitto.

LA MATRIGNA (skit)

CONTRONATURA

“So che vivi nell’incuria, non ragioni, non decidi. Chi di te si prende cura lo fa contro i tuoi principi, ma va bene così.”E’ bella, la natura. E’ indubbiamente bella, ma non è questa la sua peculiarità principale. Se c’è una caratteristica che contraddistingue la natura, beh, è l’incuranza.

In quest’ottica prendersi cura della natura è un atto profondamente contro natura ed è questo paradosso ad affascinarmi. Aveva ragione Leopardi, la natura se ne fotte dell’uomo. Le abbiamo attribuito una dote morale che non ha mai avuto. Essa esiste e basta, non ha altro scopo se non reiterare il suo ciclo vitale. E’ meravigliosa e selvaggia o forse è meravigliosa perché selvaggia, e ad ogni modo legittima l’esistenza di predatori che uccidono prede, madri che mangiano figli, parassiti che smembrano insetti ed altre sceneggiature da film dell’orrore.

Io voglio essere migliore della natura.

ETERNO PARADOSSO

“Un adulto che fa un genere da ragazzini tanto ai ragazzini piace la roba per adulti”

Stimolato dal paradosso del pezzo precedente (chi si cura della natura va contro natura) inizio a stilare una lista di assurdità, una collezione di paradossi che fanno di me una persona fuori dal mondo, disallineata. E’ paradossale rappare a 47 anni, è paradossale sentirsi razionale e sognatore nello stesso momento ma soprattutto è paradossale per me darmi in pasto al mondo dello spettacolo quando ciò che odio di più è stare al centro dell’attenzione.

MARCO E LUDO (skit)

LA SCELTA

“E sono contento della scelta che ho fatto, nemmeno un rimorso, nemmeno un rimpianto”

Uno degli elementi ricorrenti di questo disco è la stasi, il limbo, il “non luogo” senza via d’uscita. Come si viene fuori da questa impasse? Esiste un solo modo: fare una scelta, prendere una decisione.

Ho immaginato di trovarmi davanti ad un bivio, due sentieri che si diramano dal bosco, ciascuno sponsorizzato da un guardiano. Il primo è Beethoven, un musicista che ha composto fino alla morte nonostante sia stato continuamente bersaglio delle avversità, nonostante una dannata otosclerosi gli abbia impedito di godere del proprio talento rendendolo sordo a 30 anni per esempio. Un’ostinazione, la sua, che mi ha sempre rincuorato durante le crisi creative. Ovviamente Beethoven mi indica la strada della consacrazione all’arte. Di diversa opinione è l’altro guardiano, Mark Hollis dei Talk Talk, scomparso di recente, personaggio che amo ma che cerca di dissuadermi dal fare della musica la mia ragione di vita. “O faccio il tour o faccio il padre” avrebbe detto durante un’intervista. Mark ha abbandonato i lustrini dello spettacolo nel pieno della sua ascesa, dedicandosi sempre più di rado alla sua carriera discografica.

Adesso tocca a me fare la scelta giusta.

 AZZERA PACE

“Tu dammi un consiglio che farò il contrario”

Spesso mi sono sentito dire che penso al contrario, che il mio intervento in una conversazione tende ad azzerare la pace e a portare inquietudine. Del resto “azzera pace” è il contrario di “E’ Caparezza”. Evidentemente non ho ancora chiaro il da farsi.

Sono un confusionario, spesso ritorno sui miei passi o vado in direzione contraria al mio pensiero col solo scopo di rinvigorire un dibattito o stimolare un ragionamento.

EYES WIDE SHUT

“Se togli l’arte dal mio mondo è solo un posto banale”

Nel rito di passaggio è necessario essere se stessi. Il problema, nel mio caso, è che io sono me stesso proprio quando scelgo di non esserlo, ovvero quando indosso una maschera. Parliamoci chiaro. Io ho un profondo rispetto per l’arte, senza la quale la mia vita sarebbe stata di una noia mortale. Il fatto è che l’arte è creatività e la creatività è un linguaggio alternativo alla realtà. Gli animali non hanno bisogno di musica, cinema, danza e fumetti, a loro basta la realtà circostante. Per gli uomini, o meglio, per alcuni uomini, la pura realtà è solo una seccatura, per questo creano. Questa canzone è dunque l’elogio della maschera, quindi dell’arte. Non mi interessa essere schietto e patetico come un avvinazzato. Io voglio usare la fantasia perché “Art is better than life”.

 GHOST MEMO (skit)

COME PRIPYAT

“Non parlo al mondo come prima ma parlo a vuoto come Pripyat”

Questo pezzo rappresenta il passaggio da realtà ferma a realtà trasformata. Nel bel mezzo della boscaglia mi imbatto nei resti di una città fantasma in cui tutto è mutato a causa della radioattività. Tante le mutazioni in atto: il rap è diventato l’esaltazione dell’opulenza, la criminalità è diventata un’ambizione sociale, i meridionali sono diventati leghisti, le persone e le categorie che ho difeso nelle mie canzoni hanno un pensiero ormai opposto al mio e ho la sensazione fortissima di parlare a vuoto, di parlare “al vuoto”, come Mastorna nel film incompiuto di Fellini, come me se vivessi nella città fantasma di Pripyat (evacuata dopo il disastro di Chernobyl).

IL MONDO DOPO LEWIS CARROLL

PI ESSE (skit)

“Dove sei meraviglia? La noia mi tiene la briglia”

Dopo aver affrontato la mutazione della realtà è il momento di affrontare la mia personale mutazione dovuta allo scorrere degli anni. Mi ritrovo così nei panni di un cappellaio matto ormai invecchiato e decido di scrivere una lettera ad Alice per informarmi sul suo stato di salute e per ricordarle i meravigliosi tempi andati.

Dai lustri del libro di Lewis Carroll la “meraviglia” è andata progressivamente svanendo dai miei occhi e il mio scopo adesso è vagare nella selva alla ricerca dello stupore perduto, costi quel che costi.

ZEIT!

“Io non pensavo tu invecchiassi come tutto il resto”

Il decadimento generale ha fatto un’altra vittima: il tempo. Questo pezzo l’ho scritto durante il primo lockdown quando le giornate sembravano congelate, immobili. Pensai che zeit (il tempo) non stesse facendo il suo dovere, che stesse arrancando, che stesse invecchiando come me e come le cose intorno a me. Questo brano prende spunto dalla celebre “Lettera al padre” di Franz Kafka, libro che stavo leggendo durante i famosi giorni dei flash mob sui balconi. A un certo punto ho provato a sostituire il tempo al signor Hermann Kafka, ricavandone un contenuto alternativo che ha ispirato il rapporto paterno che ho con zeit nel brano in questione.

 LA CERTA

“Pensami, non cercarmi”

Qui si parla dell’“exuvia maxima”: la morte, che tra i riti di passaggio è quello che certamente temiamo di più. La morte è stata rappresentata in molteplici modi (ho particolarmente impresso il giocatore di scacchi nel Settimo Sigillo), ma io ho scelto di raccontarla come una figura positiva, senza la quale la nostra vita diventerebbe il trionfo dell’apatia e della depressione. Una sorta di motivatrice che ci spinge a dare il meglio di noi durante il tempo limitato che abbiamo a disposizione.

EXUVIA

“E sarà tutto nuovo come da neonato con la pancia all’aria, dopo il mio passaggio dalla pancia all’aria”

E’ la canzone finale di questo percorso o quella iniziale di uno nuovo. E’ la celebrazione del rito di passaggio, delle sensazioni che lo accompagnano, del fremito che si prova nell’istante in cui si realizza il cambiamento agognato. Prendo ad esempio la cicala, “larva sporca del mondo” che, dopo anni sotto terra, prende coraggio, scala la corteccia del tronco e, una volta abbandonata l’exuvia, inizia a cantare.

WEB & SOCIAL 

https://www.caparezza.com
https://www.instagram.com/fotocaparezza

foto di Caparezza p.g
Ph credit @Albert D’Andrea

 

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