C’è un momento, nella notte, in cui tutto abdica al rumore e lascia emergere ciò che normalmente tratteniamo sotto pelle. È lì che si muove Jungle Julia, artista che sceglie il buio come laboratorio emotivo e il corpo come linguaggio primario.
“Vespro” è il primo atto sonoro di un trittico che sfugge alla logica del “debutto”, è il suo ingresso ufficiale nella discografia, un racconto in due brani che arrivano forti ed intensi.
Carne e Demonio sono due polarità dello stesso impulso, due confessioni che scorrono con una sincerità ruvida, quasi animale, registrate come se fossero un respiro trattenuto troppo a lungo.
Incontrarla significa attraversare lo stesso paesaggio interiore: una visione che unisce istinto, densità lirica e un immaginario visivo ferino, costruito per accumulo di simboli più che per estetica. Julia si racconta senza intercapedini, senza protezioni, nella nuda verità del gesto.

L’INTERVISTA
Ho ascoltato il tuo EP: denso, importante, pensato. Cos’è questo “Vespro”? Una preghiera?
È esattamente la mia preghiera notturna. “Vespro” tiene insieme le due canzoni che compongono questo primo episodio: è il primo capitolo di un trittico che sfocerà poi in un disco completo. Ogni episodio rappresenta un momento diverso della giornata: parto dalla notte e arrivo fino al pomeriggio successivo. Questo primo frammento è la parte più crepuscolare, quella in cui tutto comincia.
Le due canzoni, “Carne” e “Demonio”, da cosa prendono spunto? Da dove nasce questa tua spinta lirica?
Sono nate d’istinto, con la chitarra in mano. Sono brani che parlano di me in modo diretto: raccontano cose che vivo, che ho vissuto, che mi attraversano. Trattano entrambe l’idea dell’abbandono: in Carne mi affido al corpo dell’altra persona, mentre in Demonio il centro sono io, il mio cedere a me stessa.
C’è molta fisicità nei tuoi brani. Non è solo linguaggio: sembra una tua cifra personale, un modo di stare al mondo.
Sì, direi che è il mio approccio alla vita. Vivo e mi racconto in modo fisico, diretto, istintivo. A tratti animale. È la mia natura: ciò che sono finisce inevitabilmente nella musica.
Anche la produzione rispecchia questa immediatezza: mi dicevi che avete registrato in presa diretta.
Esatto. I brani nascono voce e chitarra, poi abbiamo lavorato per non snaturare quel primo impulso. Per questo abbiamo registrato con musicisti veri, strumenti veri, in studio. Ho avuto la fortuna di farlo con persone che stimo: Matteo Cantagalli e Daniele Fiaschi (chitarrista), Andrea Palmeri (batteria) e Federico Ciancabilla (Basso), registrati con Fabio Rondanini (batteria), Roberto Dragonetti (Drago) (basso), Raffaele Scogna (Rabbo) (tastiere e synth), Daniele Fiaschi (chitarre) … davvero musicisti straordinari.
Anche la parte visiva è molto forte, a partire dal doppio video che avete pubblicato.
Sentivo il bisogno di trovare un’immagine che raccontasse l’idea dell’abbandono. Da qui è nato questo mini–corto che unisce le due canzoni anche a livello narrativo. Tutto si muove in un immaginario volutamente cupo, un po’ “pulp”, come lo definisco io. Era l’obiettivo.
La copertina è potente, quasi iconica. Chi ha realizzato il disegno?
Uno dei miei amici più cari. L’ha fatto anni fa, nel tentativo di rappresentarmi. Sono io, con questo sguardo un po’ languido, anche se non è la parola giusta e con i serpenti in testa. Un dettaglio che fa sorridere, perché davvero ho una chioma esagerata. Guardandola, sì, ricorda Medusa.

Parliamo di reference musicali: quali hai portato dentro queste due tracce?
Non ho una sola influenza. Potrei citare i riferimenti canzone per canzone, ma diventerebbe un po’ didascalico. Per la scrittura guardo molto al cantautorato: Dalla, De André, Battisti. Per il suono, invece, mi porto dietro elementi più crudi: la scena italiana degli Afterhours, dei Bluvertigo. E poi il mondo internazionale: ascolto tantissima musica diversa. In questo periodo, per esempio, Tinariwen — che però non entra in questo episodio — gli Alabama Shakes, che si sentiranno invece nel secondo, e gli Idles.
A proposito del secondo capitolo: quando uscirà?
Dovremmo essere a febbraio, senza fissare una data precisa. Ma sì, indicativamente sarà quel periodo.
Ci sarà un feedback live già da prima che l’album sia completo?
Assolutamente sì. Ci stiamo lavorando e il progetto avrà anche una dimensione live quest’estate. Il primo appuntamento, se vogliamo chiamarlo live, sarà il 17 gennaio a Milano al Magnolia. E ci saranno altri momenti prima dell’uscita del disco completo.

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ABOUT
Jungle Julia, nome d’arte di Giulia Covitto, nasce in Maremma, terza di sei figli.
Cresce tra la campagna e la comunità del Cammino Neocatecumenale: un ambiente che alimenta il suo rapporto con la parola, la spiritualità e l’introspezione. Inizia presto a suonare e a scrivere, sviluppando una cifra verbosa, intensa e fisica, radicata in un immaginario contadino e in un’attitudine musicale ruvida, rock e blues.
A 18 anni si trasferisce a Roma, dove vince il bando di Officina Pasolini, formandosi con artisti come Tosca, Giovanni Truppi, Piero Fabrizi e Pietro Cantarelli.
Partecipa al Reset Festival, scrive un brano con Cristina Donà e vince il premio come Migliore Performance al Premio Bianca D’Aponte.
Nel 2024 approda alle selezioni di XFactor interpretando “Nuotando nell’aria” dei Marlene Kuntz e “Rid of Me” di Pj Harvey. L’esperienza non porta Julia ad entrare all’interno del programma ma le permette di essere scoperta da quello che diventerà il suo manager, Marco Sorrentino.
Con influenze che spaziano da PJ Harvey a Idles, da Radiohead a Alabama Shakes, nella sua musica Julia costruisce un linguaggio musicale ruvido e intimo allo stesso tempo, in cui corpo ed emotività coincidono, sovrapponendosi e confondendosi in egual misura, un linguaggio unico che la rende subito riconoscibile.