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Recensione: TAME IMPALA – “Deadbeat”

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Quando la mediocrità creativa sembra aver anestetizzato buona parte della produzione musicale contemporanea, bastano quattro o cinque brani validi per parlare di un buon disco.

Nel caso di “Deadbeat”, il nuovo lavoro di Kevin Parker, ne basterebbero tre — My Old Ways, No Reply, Dracula — per decretare un ritorno folgorante. È la tripletta iniziale a spalancare subito un orizzonte visionario, dove la sperimentazione pop si fa medium alchemico capace di inglobare generi, manipolarli e rifrangerli nella luce cangiante della sua estetica sonora.

Ma Deadbeat non si esaurisce in questo incipit esplosivo anzi! 

L’ora di musica che segue — 56 minuti di pulsazioni ipnotiche e chiaroscuri psichedelici — si sviluppa come un viaggio percettivo, un rave mentale tra introspezione e catarsi. Oblivion, sembra quasi un reggaeton elettronico, in Not My World la cassa dritta filtrata scandisce un mantra futurista quasi come se i Depeche Mode si mettessero a fare Edm, mentre Ethereal Connection, con i suoi oltre sette minuti, è un rito elettronico che culmina nell’intimismo sospeso di See You On Monday (You’re Lost), per poi riprendere slancio in End of Summer.

Il suono di Parker, più che mai elettronico, sembra filtrare l’inquietudine del presente attraverso un prisma di euforia controllata. Le sue recenti frequentazioni — tra cui Dua Lipa — lasciano intravedere un’affinità con la dance più cerebrale: linee di basso contorte, pattern sintetici in costante mutazione, un’eleganza quasi ingegneristica.

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Eppure, in certi momenti, la voce pop rischia di smorzare la potenza del suono (Afterthought ne è esempio), come se il perfezionismo di Parker cedesse il passo alla sua parte più conciliatoria.

Realizzato tra Fremantle e il Wave House Studio di Injidup, Deadbeat traduce in musica l’anima selvaggia della Western Australia, la sua tradizione bush doof e l’eco lontana dei rave primordiali. È un disco di club e di deserto, di isolamento e liberazione. Qui Parker abbandona il controllo maniacale del passato in favore di un minimalismo più istintivo, lasciando che il suono respiri e si deformi.

Liricamente, “Deadbeat” è la radiografia di una stanchezza esistenziale. Parker racconta un ciclo infinito di disillusione e autoanalisi, dove la festa diventa tecorapia e il beat, piuttosto che cura, diventa anestesia. Dopo The Slow Rush e la sua ossessione per il tempo, qui l’artista si confronta con il vuoto che segue l’attesa: la malinconia dei giorni uguali, l’eco del rumore quando la musica finisce.

In un’epoca in cui molti dischi suonano come esercizi di stile, “Deadbeat” ha ancora la forza di un gesto. È un album che non vuole piacere, ma vibrare; che non cerca la perfezione, ma l’attrito.

È la prova che Kevin Parker non ha smesso di interrogare se stesso — e di rispondersi in forma di suono.

Un disco che va dritto nella top dei migliori dischi di questo 2025! 

DA ASCOLTARE SUBITO

My Old Ways – No Reply – Dracula

DA SKIPPARE SUBITO

Naturalmente nulla! 

SCORE: 8,50

TRACKLIST 

1. My Old Ways
2. No Reply
3. Dracula
4. Loser
5. Oblivion
6. Not My World
7. Piece of Heaven
8. Obsolete
9. Ethereal Connection
10. See You On Monday (You’re Lost)
11. Afterthought
12. End of Summer

DISCOGRAFIA

2010- Inner Speaker
2012 – Lonerism
2015 – Currents
2020 – The Slow Rush
2025 – Deadbeat

VIDEO

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instagra.com/tameimpala

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