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Recensione concerto – THE PSYCHEDELIC FURS tra poesia, teatro e inquietudine [Scaletta e Info]
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Recensione concerto – THE PSYCHEDELIC FURS tra poesia, teatro e inquietudine [Scaletta e Info]

L’appuntamento con i The Psychedelic Furs si configurava, per chi come me ha vissuto la New Wave in presa diretta, come un imperativo esistenziale.

Non una semplice operazione nostalgia, non una reunion di attempati con i cellulari con la custodia pieghevole alla ricerca di un adolescenza smarrita, ma la necessità di tributare una scena sonora che negli anni Ottanta sfuggiva alle etichette, puntando sul pathos, la teatralità e le emozioni.

Richard Butler, il Maestro di Cerimonie dei Furs, che non si faceva vedere in Italia da oltre un trentennio se non di più, resta uno dei protagonisti di quegli anni. La sua voce gorgheggiante non è mera vocalità. Nonostante l’anagrafe rimane profonda, densa, un incedere ruvido e indolente, intriso di una sfacciataggine calibrata che lo proietta ben oltre il confine della wave. Con magnetismo impertinente ed eleganza sardonica, Butler incarna il dandy del disfacimento che la loro musica ha sempre magnificato.

ph. Nicola Vitali

Il concerto al Fabrique è rito prima ancora che show. Ore 21.33: Heaven è perfetta per aprire il sipario, non è solo un brano, ma un portale verso un’altra epoca.

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Subito il richiamo teatrale, gli inchini, il sigillo sonoro, l’incrocio tra pop da classifica e glam post punk ragionato. Il palco diventa sineddoche di un’epoca in cui la malinconia era forma di protesta e al tempo stesso speranza salvifica.

La tessitura ritmica, curata con rigore ascetico dal fratello Tim al basso, resta la colonna vertebrale del sound Fursiano. Una rete vibratile e chirurgica che mantiene la wave sospesa tra implosione e ipnosi, nonostante la dinamicità e energia vocale che un po’ è venuta meno.

La scaletta antologica si snoda in una ora e mezza, un tempo sufficiente e accontenta sia il neofita incuriosito (rari), sia il ragazzo hype alla ricerca di sperimentazioni sonore (rarissimi) così come il fan devoto (ovvero io .-).

Un viaggio dagli inni canonici: la malinconia romantica della sublime Love My Way, la sincope cinematografica di Pretty in Pink, le texture evocative di The Ghost in You, il battito nevrotico di Heartbreak Beat – alle tracce meno battute, fino alla conclusiva India, il concerto diventa vortice sensoriale. I Furs confermano la loro abilità rara: fondere romanticismo torbido e tensione post-punk in un’unità emotiva potente.

Alla fine resta un sapore amaro che non è delusione, ma compiacimento. I Furs sono musica e passione, e questa sera hanno riaffermato il loro ruolo di cantori di un’inquietudine sublime, nonostante gli anni Ottanta siano ormai un ricordo lontano ma ben lucido e presente.

LA SCALETTA

Heaven
President Gas
Wrong Train
The Ghost in You
The Boy That Invented Rock & Roll
Mr. Jones
My Time
No‐One
Love My Way
In My Head
Run and Run
Until She Comes
Pretty in Pink
Heartbreak Beat

Encore:
It Goes On
India

WEB & SOCIAL

https://www.instagram.com/pfurs/

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